Del rapporto tra l’archeologo Antonio Taramelli (Udine, 14 novembre 1868 – Roma, 7 maggio 1939) e la Sardegna, credo sia stato scritto più o meno tutto.
Taramelli arrivò nell’isola nel 1903 e, ricoprendo incarichi diversi, vi rimase per oltre 30 anni.
Durante la sua permanenza girò la Sardegna in lungo e in largo, dando vita a innumerevoli campagne archeologiche (sempre documentate da pubblicazioni) e istituendo i musei di Cagliari e di Sassari, organizzando in maniera scientifica, storica e sistematica, il patrimonio archeologico dell’isola.
Nonostante lo stretto rapporto col regime fascista (fu membro dei Lincei e venne nominato Senatore del Regno), Taramelli fu uno studioso “controcorrente”, dedicando le sue ricerche a far emergere i fasti della civiltà nuragica, contrariamente alle logiche “imperiali” del fascismo che appoggiavano esclusivamente scavi archeologici tesi a dimostrare la grandezza della stirpe italica.
Sulla rivista “L’Albergo in Italia”, pubblicata dall’ENIT e dal Touring Club Italiano, nei numeri di maggio, giugno e luglio del 1930, compare un articolo di Taramelli che si discosta dalle sue ricerche archeologiche.
L’articolo, illustrato da vignette firmate “Claudius”, s’intitola “Gastronomia sarda” e parla diffusamente delle abitudini e tradizioni enogastronomiche dell’Isola che Taramelli dimostra di conoscere molto bene e di apprezzare.
Lo scritto, raccontato in forma di dialogo, prende spunto dal fortuito incontro sulla motonave “Olbia” diretta a Terranova, tra un turista “dall’aspetto di diplomatico in licenza”, e un “indigeno, severo nell’abito d’orbace”, dove “l’indigeno” si offre come guida per far scoprire al “continentale” le eccellenze gastronomiche dell’isola.
E così l’articolo diventa quasi una guida ante-litteram del movimento Slow food, con prodotti alimentari sardi e i vini, descritti con dovizia di particolari, per i gusti che sprigionano e per le zone tipiche di provenienza.
Si parla diffusamente della bontà delle verdure e delle produzioni orticole del Campidano, della Baronia, del Sassarese, si decantano i fagioli e fagiolini di Desulo, di Aritzo, di Tiana, le patate di Gavoi e di Ollolai: “Credo che se il celebre navigatore che importò in Europa le patate venisse a provare le nostre, cotte al forno, o meglio ancora unite in dolce connubio col capretto in stufato, sarebbe lieto di aver dato all’Europa il mezzo di sfuggire, saporitamente, alla livida carestia”.
Che dire poi di un certo distillato di ciliegie che “era un dono nuziale di primo ordine ed era donato dal Marchese di Laconi, come offerta feudale, per essere usato a sostenere le forze delle partorienti”.
Dei carciofini primaticci di dicembre di Bosa sembra di sentirne il profumo, ma anche il consiglio di provare i carciofi al forno con le erbe di timo, maggiorana e basilico, preparati dalle donne di Cagliari non è da trascurare. Taramelli esalta le pesche di Nuragus e della Planargia e invita qualche volonteroso industriale a investire nello sfruttamento dei frutti selvatici, abbondanti e deliziosi.
Nella descrizione delle carni la parte principale tocca ad agnelli e capretti, ma anche “l’immondo suino, giunto a maturazione dopo le salutari scorpacciate di ghiande … è un degno alimento delle mense sarde”.
La selvaggina è abbondantemente descritta, anche per quanto riguarda le tecniche di caccia. Cinghiale, muflone, pernici e altra cacciagione, sono ricordati per le loro caratteristiche culinarie.
Uguale riguardo è riservato ai pesci, descritti per il loro uso in cucina: muggini, anguille, molluschi e le “rinomate murene, che nei mari di Carloforte e di Oristano, avevano il privilegio di casta, dovendo essere consumate soltanto sulle tavole principesche e viceregali”.
Il capitolo pesci si conclude con il tonno e l’esaltazione della surra, il filetto in graticola o bollito con olio e limone.
Parlando di pane e pasta, Taramelli descrive il pane carasau, comune a tutta l’isola e il pane moddi di Tonara e Desulo. Parla poi della fregolina, “una cosettina fine fine, come pallini da caccia, e che sta alla pari di tutte le pastine Buitoni”. Parla dei malloreddus, da condire col pomodoro.
All’arte del pane e della pasta, Taramelli affianca la pasticceria e la sua gamma infinita di prodotti: i mustazzeddus di Oristano, l’aranciata di Nuoro, i torroni di Tonara, le zippulas del Campidano, ecc. La descrizione continua con i formaggi di cui sono esaltate le varietà e le qualità. Alcune considerazioni di Taramelli appaiono molto attuali: “In questo momento l’industria è in crisi. Tutti fanno formaggio nel mondo e quello di Sardegna, per non perdere i luoghi di smercio conquistati, deve abbassare il prezzo: ma restano alte, inflessibili, le affittanze dei pascoli e le … tasse statali, provinciali e comunali e il pastore va in malora, vende il bestiame e torna alla terra madre a zappare come può e dove può”.
I vini sono ricordati con dovizia di dettagli per le diverse qualità e per le zone di produzione. Oliena, in primis, per quel vino introvabile perché destinato alle feste e alle nozze, “dall’abboccato dolce come di fragola”, La vernaccia di Oristano, eletto principe dei vini da dessert, e poi moscati del Campidano e il cannonao, “vino principesco”. E tra le bevande ci sono i liquori, “tutti traditori”, ad esclusione dell’abbardiente di pura grappa d’uva, tra cui quella del “Cixerri, che si fa nelle case della valle di Domusnovas, e che ha un valore antimalarico, antireumatico, straordinario”.
L’articolo di Taramelli finisce con la descrizione delle acque e, anche in questo caso, con l’esaltazione delle eccellenti acque minerali dell’isola.
Tutte le descrizioni, si svolgono sempre in forma di dialogo tra “indigeno” e “continentale”, con l’apparizione, ogni tanto, di altri “indigeni”, come la cugina “Maria Flores, delle parti di Baronia, che si è vestita nel costume antico per fare onore a lei, signor Turista”.
E la storia ha il lieto fine, scrive Taramelli, alcuni mesi dopo con l’arrivo di un austero e semplice cartoncino: “Marco Antonio Valli e Maria Flores, oggi sposi. Al turista continentale e alla bella di Baronia, complimenti”, conclude Taramelli.
Autoritratto, 1977
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