“Signori e donne, voi dovete sapere che, essendo io ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle parti dove apparisce il sole, e fummi commesso con espresso comandamento che io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Porcellana, li quali, ancora che a bollar niente costassero, molto più utili sono a altrui che a noi.
Per la qual cosa messom’io cammino, di Vinegia partendomi e andandomene per lo Borgo de’ Greci e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca, pervenni in Parione, donde, non senza sete, dopo alquanto per venni in Sardigna. Ma perché vi vo io tutti i paesi cerchi da me divisando? Io capitai, passato il braccio di San Giorgio, in Truffia e in Buffia, paesi molto abitati e con gran popoli; e di quindi pervenni in terra di Menzogna, dove molti de’ nostri frati e d’altre religioni trovai assai, li quali tutti il disagio andavan per l’amor di Dio schifando, poco dell’altrui fatiche curandosi, dove la loro utilità vedessero seguitare, nulla altra moneta spendendo che senza conio per quei paesi: e quindi passai in terra d’Abruzzi, dove gli uomini e le femine vanno in zoccoli su pe’monti, rivestendo i porci delle lor busecchie medesime; e poco più là trovai gente che portano il pan nelle mazze e ‘l vin nelle sacca: da’ quali alle montagne de’ bachi pervenni, dove tutte le acque corrono alla ‘ngiù.
E in brieve tanto andai adentro, che io pervenni mei infino in India Pastinaca, là dove io vi giuro, per l’abito che io porto addosso che io vidi volare i pennati, cosa incredibile a chi non gli avesse veduti; ma di ciò non mi lasci mentire Maso del Saggio, il quale gran mercante io trovai là, che schiacciava noci e vendeva gusci a ritaglio”.
Il brano è tratto dal “Decameron” di Giovanni Boccaccio. Si tratta della novella decima della sesta giornata, la novella dove si narra di Frate Cipolla e della sua predica ai cittadini di Certaldo, durante la quale racconta il suo viaggio in terre esotiche immaginarie (la Truffia e la Buffia) e reali (tra cui la Sardegna), da dove riporta sacre reliquie, tra cui una piuma dell’ala dell’Arcangelo Gabriele. Piuma che due burloni sostituiscono con una manciata di carboni. Il frate, al momento di presentare la reliquia, si rende conto della sostituzione ma non si perde d’animo e presenta i carboni come reliquia in quanto “avanzo” di quelli utilizzati per bruciare San Lorenzo, con il risultato che i burloni furono burlati!
La copia del Decamerone in mio possesso, è in dieci volumi rilegati in tela, stampata in seconda edizione dall’editore Formiggini, tra il 1922 e il 1924 (la prima edizione è del 1913), nella collana “I classici del ridere”.
L’opera ha la caratteristica che ogni volume è arricchito dalle incisioni xilografiche di un artista del periodo.
Il decimo volume è illustrato da Mario Mossa De Murtas (1891-1961), artista sassarese, che utilizzò le stesse incisioni anche sulla rivista L’Eroica (fascicolo I/II/III del 1915), dove veniva presentata una rassegna delle avanguardie artistiche italiane in merito all’incisione. Sullo stesso numero de L’Eroica comparivano anche le incisioni di Giuseppe Biasi, altro grande artista, considerato dalla critica il più importante artista sardo del ‘900.