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Antonino Pirari, pittore di Nuoro

Ho recentemente acquistato due cartoline. La prima cartolina riproduce il quadro “Venerdì santo” del pittore nuorese Antonino Pirari (1893-1957) e risulta viaggiata da Sassari per Roma nel 1935. La seconda cartolina è viaggiata nel 1902 e riproduce un contadino di Nuoro intento a smuovere un covone. Questa cartolina, oltre alla scritta “proprietà privata”, non riporta alcuna indicazione sull’editore o sull’autore della foto.

Appare singolare, però, che la cartolina del contadino ricordi tantissimo il quadro “Il covone” che proprio Pirari presentò alla Biennale di Venezia nel 1920 e la copertina che l’artista nuorese realizzò per il numero 17 dell’ottobre 1921 de “Il giornalino della Domenica” fondato da Vamba e diretto da Giuseppe Fanciulli.
In quel numero de “Il giornalino”, Fanciulli parla di Pirari in questi termini: “ … Antonino Pirari, giovane ed eccellente pittore di Nuoro, che, quasi ragazzo, illustrò per il Giornalino, nel 1911, una novella di Grazia Deledda, e da allora sempre conserva la più viva simpatia per queste pagine … La composizione riprodotta nella copertina, con una magnifica tricromia, rappresenta un Contadino di Nuoro sull’aia, nell’atto di raccogliere il grano con la pala; la forte figura dal vivido costume è circonfusa di sole, in un’immensità di silenzio ardente”.

Può darsi che si tratti di una semplice coincidenza, ma è probabile che Antonino Pirari abbia avuto per le mani la cartolina del contadino e che a questa si sia ispirato. Occorre tener presente, inoltre, che dai Pirari la fotografia era di casa, visto che il fratello di Antonino, Piero Pirari (1886-1972), ha legato il suo nome all’attività di fotografo, tanto che un fondo di sue foto dei primi del ‘900 è raccolto presso l’Istituto Etnografico della Sardegna.

La Scuola di Atene a Cambridge

Una parete bianca e una porta.
Questo è lo scenario che si presentò a Costantino Nivola quando, alla fine degli anni ’70, da parte dello studio di Architettura Cambridge Seven Associates di Cambridge, gli venne commissionato un murales per gli uffici siti al numero 1050 sulla Massachusetts Avenue.
Una parete bianca dove la porta d’accesso alle scale d’emergenza dello stabile rischiava di essere un elemento di disturbo e che necessariamente doveva essere “coinvolta” nella stesura definitiva dell’opera, diventandone anzi un elemento caratterizzante.

Nivola studia, riflette e ad un tratto la geniale intuizione: dagli scrigni della memoria riaffiora una soluzione analoga, già magistralmente risolta da un grande artista del passato. In quel momento Costantino Nivola vede il murales finito che abbraccia tutta la parete, sviluppando un racconto di forme e colori che trova degna conclusione aggirando la porta e facendola diventare tutt’uno con la sua idea.
Raffaello Stanza della SegnaturaNella mente di Nivola si palesano e iniziano a prendere vita le forme e i colori dell’affresco “La Scuola di Atene”, dipinto nelle stanze vaticane tra il 1509 e il 1510, da Raffaello Sanzio.
Nivola, in innumerevoli bozzetti a carboncino o con inserti cromatici, reinterpreta le figure e le volumetrie dipinte da Raffaello: la parete si riempie e il disegno aggira quella porta che diventa parte integrante della costruzione pittorica, così come aveva fatto Raffaello nelle stanze vaticane quando la inglobò tra le architetture dipinte.

E’ in questo modo che mi piace pensare sia avvenuta la genesi del murales realizzato da Nivola al numero 1050 della Massachusetts Avenue di Cambridge negli Stati Uniti.
E così mi piace pensare quando guardo uno dei suoi bozzetti, acquistato in un’asta americana, che ora campeggia su una parete del mio studio a Firenze.

nivola mereu bozzettoUno di quei bozzetti che hanno contribuito alla nascita del murales e che, unitamente ai tanti altri esistenti (sono ben otto quelli in possesso dell’architetto Peter Chermayeff) testimoniano della grande capacità creativa di Nivola, in grado di trarre ispirazione ma anche di confrontarsi con un’opera collocata nell’Olimpo dell’Arte come “La Scuola di Atene” di Raffaello.

nivola chermayeff bozzetto grande 1

nivola chermayeff bozzetto grande 2

nivola chermayeff bozzetto piccolo 1 bisnivola chermayeff bozzetto piccolo 2nivola chermayeff bozzetto piccolo 3nivola chermayeff bozzetto piccolo 4nivola chermayeff bozzetto piccolo 5nivola chermayeff bozzetto piccolo 7Il risultato dell’operazione artistica di Nivola, oltre che coraggioso, è stupefacente ed emozionante per la sfida intrapresa e per quello che è riuscita a produrre.
Nivola, che forse per la prima volta si confronta con un’opera classica, trasforma i diversi personaggi de “La Scuola di Atene” in forme stilizzate, scultoree che comunque, nella composizione del graffito, mantengono una riconoscibile identità, quasi una traccia genetica rispetto al dipinto di Raffaello.

Murales image1Murales image2Murales image3Murales image4Un risultato che dimostra come l’Arte sia universale e non abbia tempo. L’Arte che nasce, cresce, si sviluppa, si muove e si trasforma, stimola sensazioni e genera emozioni. L’Arte che viaggia veloce come un’idea, come un raggio di luce e, partendo dalle stanze vaticane romane del 1500, è capace di approdare persino negli uffici di uno studio di architettura a Cambridge, negli Usa, negli anni ’70 del Novecento.

 

Nelle foto:

Stanze vaticane – la Stanza della Signatura con gli affreschi di Raffaello, il bozzetto di proprietà Mereu, gli otto bozzetti di proprietà Chermayeff, il murales realizzato a Cambridge – USA (foto di Kewsi Arthur di Cambridge 7 )

Un ringraziamento di cuore a Claire Nivola e a Peter Chermayeff per la grande gentilezza e disponibilità.

Giuseppe Verzocchi tra industria e arte

 

Il logo "V&D" in un'opera di Depero

Il logo “V&D” in un’opera di Depero

Giuseppe Verzocchi (1887-1970)era un industriale nato a Forlì.
Costruì la sua fortuna grazie a una fabbrica di mattoni refrattari, la “V&D”, con sede a La Spezia, dove dava lavoro a oltre 280 operai.
Verzocchi era anche un grande appassionato d’arte e tale passione lo spinse a sviluppare un progetto che esaltasse il lavoro umano e che coinvolgesse i principali artisti contemporanei.
Fu così che contattò i protagonisti della pittura italiana invitandoli a dipingere un quadro sul tema del lavoro. Unici vincoli il formato della tela (90 x 70), l’obbligo di far comparire nel dipinto un mattoncino refrattario con la sigla della sua azienda “V&D” e l’obbligo di accompagnare il dipinto con un autoritratto dell’artista.

Verzocchi e la sua collezione

Verzocchi e la sua collezione

All’invito di Verzocchi risposero 72 artisti tra i maggiori protagonisti dell’arte contemporanea italiana (Carrà, De Chirico, Guttuso, Rosai, Sironi, Vedova, De Pisis, Depero, Vittorini, Tosi, Campigli e altri): nacque così un’originale e importantissima collezione, testimonianza delle principali tendenze artistiche italiane del ‘900.
Nel 1961, il 1° maggio, Festa del Lavoro, Giuseppe Verzocchi donò la sua collezione a Forlì, sua città natale, dove attualmente è ospitata e visitabile presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea presso il Palazzo Romagnoli.
Tra i vari artisti che risposero all’invito di Verzocchi, figurano anche il sardo/milanese Aligi Sassu, il sassarese Mario Sironi e Francesco Menzio, pittore originario di Tempio Pausania, attivo soprattutto a Torino.

Autoritratto di Francesco Menzio

Autoritratto di Francesco Menzio

Francesco Menzio (Tempio Pausania 1899-Torino 1979) è presente con il dipinto “lo studio”. “Dovendo scegliere un soggetto per rappresentare il lavoro – scrive Menzio a Verzocchi – mi sono tenuto a quello che ho di continuo sotto gli occhi, e ho dipinto la mia famiglia nello studio nei felici momenti di silenzio, quando ognuno, grande o piccino, è occupato, assorbito completamente da ciò che sta facendo o dal proprio pensiero. È questo un soggetto che io amo: e mi piace assai dipingere gli oggetti ed i luoghi del mio studio. Dire il perché del tavolo nel mezzo? Del pavimento rosso? Ho cercato di avere un disegno continuo che occupasse giustamente tutta la superficie e che il colore vi si adattasse bene; poi ho lasciato che la mano si muovesse il più possibile a suo talento”.

Francesco Menzio, "Lo studio"

Francesco Menzio, “Lo studio”