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Il Regno segreto. Sardegna e Piemonte: una visione postcoloniale

 

Il MAN di Nuoro, a cura di Luca Scarlini, ospita sino al prossimo 15 novembre, la mostra “Il regno segreto. Sardegna e Piemonte una visione postcoloniale” (Catalogo MAN/Ilisso), un’esposizione che indaga gli ultimi trecento anni di rapporti culturali tra Sardegna e Piemonte.

il regno segreto (6)In quest’anno 2020 ricorre, infatti, il trecentesimo anniversario di quanto stabilito dal trattato di Utrecht del 1720, quando il duca Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne la corona del Regno di Sardegna. Iniziarono da allora quegli stretti rapporti che, nel bene e nel male, portarono la Sardegna ad essere indissolubilmente legata al Piemonte.

I rapporti non furono mai idilliaci, soprattutto per il fatto che la Sardegna non sempre era amministrata con attenzione e coinvolgimento, ma alla stregua di una colonia dove tutte le cariche amministrative, ad esempio, erano riservate a soggetti non sardi.

Tale atteggiamento portò anche a momenti di forte tensione tra Sardegna e Piemonte, come successe nella cosiddetta sommossa dei vespri sardi del 28 aprile 1794 che portò all’espulsione da Cagliari del viceré Vincenzo Balbiano e di tutti i funzionari sabaudi, in seguito al rifiuto di soddisfare la richiesta di riservare ai sardi le cariche pubbliche.

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Prima pagina di “Barones sa tirannia” in una edizione della fine del ‘700

D’altronde, se pensiamo alla canzone “Su patriottu Sardu a sos feudatarios”, conosciuta come “Procurad’ e moderare”, ci si rende conto di come erano visti allora i piemontesi e il governo sabaudo in Sardegna.
Una strofa recita:

Sos disculos nos mandana / Pro castigu e curressione, / Cun paga e cun pensione / Cun impleu e cun patente; / In Moscovia tale zente / Si mandat a sa Siberia / Pro chi morzat de miseria, / Però non pro guvernare
(Ci mandano i peggiori / per castigo e pena, / con salario e pensione, / con impiego e con patente. / A Mosca gente simile / La mandano in Siberia, / ma per farla morire di miseria, / non per governare )

La cacciata del viceré fu comunque un evento rivoluzionario, senza spargimento di sangue, ancora oggi ricordato, visto che una delibera della Regione del 1993 ha individuato proprio nel 28 aprile “sa die de sa Sardigna”, un giorno di festa da dedicare alla Sardegna.

Quello tra Piemonte e Sardegna, dunque, è stato un rapporto caratterizzato negli anni da momenti di aperture con riforme civili e sociali, e da momenti di interventi burocratici e repressivi non sempre accettati dai Sardi.

Basti pensare al famigerato “editto delle chiudende” emanato nel 1820 (altro anniversario che ricorre quest’anno) attraverso il quale l’autorità consentì la creazione di vaste proprietà private cancellando, di fatto, il sistema della proprietà collettiva dei terreni, che da sempre costituiva una delle principali caratteristiche della cultura e dell’economia agro/pastorale sarda.

Questo decreto è considerato dagli storici una delle principali cause di tutti i fenomeni di ribellione che dal 1820 hanno caratterizzato periodicamente la Sardegna e, se da un lato ha dato origine al cosiddetto banditismo sardo che ha funestato l’isola per oltre 100 anni, dall’altro ha portato una schiera di politici e intellettuali sardi, a partire dal politico Giorgio Asproni (1808-1876), a parlare apertamente di “colonialismo”.

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Gramsci in una caricatura di Piero Ciuffo “CIP” (1921)

Lo stesso Gramsci non esitò a definire quello della classe borghese di Torino uno “sfruttamento coloniale della Sardegna”, forte del fatto che tutte le attività imprenditoriali piemontesi (minerarie, agricole, ecc.) che operavano nell’Isola avevano la sede centrale fuori dalla Sardegna. E a proposito di Gramsci, che da sardo dovette convivere a lungo con Torino, occorre ricordare una figura come quella del suo amico Piero Ciuffo (Cagliari 1891 – Genova 1956), grafico e caricaturista, che ebbe un ruolo fondamentale nell’introdurre Gramsci negli ambienti degli operai sardi che lavoravano a Torino.

Ciuffo (che firmava i suoi disegni come CIP) collaborò, a Torino, con L’Ordine Nuovo, giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1919, ed è famoso per le caricature realizzate durante il congresso di Livorno del 1921, quando il partito socialista si divise e venne fondato il partito comunista. Antifascista da sempre, Ciuffo, che aveva deciso di fare politica con la satira, subì condanne e violenze a causa dei suoi disegni attraverso i quali mai smise di attaccare il regime e i suoi uomini più in vista.

Ma se il rapporto tra Sardegna e Piemonte nei secoli non è mai stato idilliaco, e nel migliore dei casi è stato vissuto con indifferente distacco, appare tuttavia caratterizzato da interessanti momenti di scambio per quanto riguarda l’ambito delle arti e della cultura. Si tratta quasi sempre di scambi a senso unico, con artisti e intellettuali sardi che riescono a emergere e ad affermarsi in Piemonte, grazie al fatto che fuori dalla Sardegna trovano imprese tipografiche ed editoriali in grado di soddisfare esigenze letterarie ed artistiche.

E’ il caso, ad esempio, dell’intellettuale Pasquale Tola che a Torino, tra il 1837 e il 1838, diede alle stampe i tre volumi del “Dizionario Biografico degli uomini illustri di Sardegna”, corredato da ben 60 ritratti litografici di sardi famosi eseguiti, come riporta lo stesso Tola nella prefazione, “dall’egregio giovane Salvatore Sini di Orani e dal sig. Luigi Aspetti di Firenze”.

Scarse o nulle notizie ci sono giunte sul litografo Salvatore Sini, se non il fatto che esercitava con maestria la sua arte a Torino. Notizie certe e più compiute sono quelle che riguardano Carlo Chessa (Cagliari 1855 – Torino 1912), artista e incisore che, una volta lasciata la Sardegna, si affermò in Italia e all’estero come abile illustratore. Chessa si trasferì a Torino nel 1879, dove frequentò l’Accademia Albertina, ritrovandosi proiettato in un ambiente caratterizzato da movimenti politici e letterari d’avanguardia.

Grazie anche al fatto che il Regno di Sardegna non aveva reintrodotto la censura sulla stampa dopo i moti del 1848, Torino era diventata il centro di sviluppo dell’opinione pubblica, spodestando in ciò Milano e Firenze, ed aveva creato le condizioni affinché l’editoria assumesse quelle caratteristiche che dovevano portarla a diventare una vera e propria industria culturale.

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Salvatore Farina in uno schizzo a penna di Carlo Chessa

In questo ambiente Chessa inizia a collaborare con l’Illustrazione italiana, col Pasquino e con altre importanti riviste. Realizza le illustrazioni per il volume “Medusa” di Arturo Graf ed è probabile che stringa in questo periodo rapporti d’amicizia con lo scrittore sardo Salvatore Farina, oggi quasi dimenticato ma allora, a fine ‘800, protagonista indiscusso della vita letteraria e culturale tra Torino e Milano. È verosimile anche che Farina possa aver fatto da tramite con l’amico Giuseppe Giacosa per affidare proprio a Chessa l’esecuzione delle splendide illustrazioni a corredo del volume “Castelli Valdostani e Canavesi” pubblicato dall’editore Roux Frassati e C. di Torino nel 1897.

Una volta stabilitosi a Torino, Chessa avrà pochissimi contatti con la Sardegna. Metterà, invece, solide radici in Piemonte, sposando la pittrice Luisa Carelli e dando origine a una generazione di artisti, con il figlio Gigi (1898-1935) e con il nipote Mauro (1933), che hanno fortemente segnato il percorso delle avanguardie artistiche italiane del ‘900.

La città di Torino, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, registrò una proliferazione senza precedenti in campo artistico, letterario, associativo, musicale e teatrale, conferendo alla città un’apertura e una vitalità che fino ad allora le erano in buona misura mancate.

Case editrici da tempo esistenti, come la Paravia, o di nuova costituzione, come la S.E.I., trassero grandi vantaggi dalla favorevole situazione e svilupparono fortemente le pubblicazioni scolastiche o a carattere pedagogico.

In tale ambiente iniziarono la loro collaborazione illustratori e artisti come Edina Altara (Sassari 1898 – Lanusei 1983), Pino Melis (Bosa 1902 – Roma 1985) e Beppe Porcheddu (Torino 1898 – 1947) che, diversamente da Chessa, mantennero sempre stretti rapporti con la Sardegna.

Edina Altara, da sola o in coppia con il marito Vittorio Accornero (Max Ninon), illustrò una quindicina di libri per l’infanzia editi dalla Paravia nell’arco di una collaborazione che durò per oltre trent’anni.

Pino Melis collaborò assiduamente con la S.E.I., casa editrice originariamente fondata da Don Bosco, illustrando, con il suo tratto leggero e poetico, una serie di volumi destinati all’infanzia.

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Beppe Porcheddu, copertina per “Avventure del Barone di Munchhausen” – Paravia, 1934

Beppe Porcheddu, figlio di un ingegnere originario di Ittiri che in Piemonte aveva installato un’attività per la produzione di conglomerati in cemento, ebbe un’attività grafica intensissima che lo portò a innumerevoli collaborazioni con editori piemontesi e non. La sua collaborazione con la casa editrice De Agostini di Novara gli permise di illustrare numerosi libri, soprattutto romanzi, come, ad esempio, Angelo di Bontà di Ippolito Nievo o Colomba di Prosper Mérimée. Per modernità e concezione sono ancora oggi sorprendenti le illustrazioni realizzate da Porcheddu nel 1934 per Le avventure del barone di Munchausen di Rudolf Erich Raspe, pubblicato da Paravia. Su Porcheddu, misteriosamente scomparso nel nulla nel 1947, rimane il rimpianto per una carriera stroncata in un momento di grande successo che molto ancora avrebbe potuto dare al mondo dell’arte e della grafica.

La carrellata sui sardi che hanno contribuito a creare rapporti e legami artistici tra Sardegna e Piemonte potrebbe continuare con altri importanti nomi come Aligi Sassu, Tarquinio Sini, Giovanni Manca, Anna Marongiu o Enrico Gianeri (GEC). Mi limito e concludo ricordando solo due grandi artisti sardi che proprio dal Piemonte hanno spiccato il volo per una carriera artistica che li ha portati ad essere famosi nel mondo: si tratta di Costantino Nivola (Orani 1911 – Long Island 1988) e di Giovanni Pintori (Tresnuraghes 1912 – Milano 1999).

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Costantino Nivola, copertina per “Interiors”, 1948

Nivola e Pintori (unitamente a Salvatore Fancello), grazie a una borsa di studio, si iscrissero all’ISIA di Monza, l’istituto Superiore per le Industrie Artistiche. Da questa esperienza maturò il percorso artistico che portò prima Nivola e poi Pintori, come designers, all’interno della Olivetti, permettendo loro di raggiungere livelli di fama internazionale.

Nivola, sposato con Ruth Guggenheim di origine ebraica, costretto a rifugiarsi prima a Parigi e poi in America per evitare le persecuzioni razziali, è considerato uno dei principali nomi dell’arte contemporanea del ‘900.

Il periodo alla Olivetti si dimostrò fondamentale per Nivola che, grazie all’esperienza acquisita divenne apprezzato designer e direttore artistico di importanti riviste americane.

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Giovanni Pintori, copertina per il volume celebrativo dei 50 anni Olivetti, 1958

Pintori, subentrato a Nivola nell’incarico alla Olivetti, ha mantenuto quel ruolo sino al 1967 ed è stato la mente di tutte le principali campagne pubblicitarie della Casa di Ivrea. Per il prestigio raggiunto è considerato uno dei designers più influenti del ventesimo secolo.

Due storie, quelle di Nivola e Pintori, che sono la perfetta testimonianza e sintesi dei tanti contributi che i sardi hanno fornito allo sviluppo dei rapporti tra Sardegna e Piemonte. Due storie tra le tante, fatte di eccellenze, che hanno avuto origine in Sardegna e che toccando altri luoghi, altre culture, hanno avuto la possibilità di crescere e di affermarsi, così come è giusto che sia quando le idee hanno la libertà di potersi muovere e confrontare, senza barriere, senza pregiudizi e senza “colonialismi”, culturali o economici che siano: e questo vale per la Sardegna, per il Piemonte e per qualsiasi angolo del mondo, per quanto piccolo o recondito sia.

Angelino Mereu

GEC e la “Mostra d’Arte sarda”

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Autocaricatura di GEC

Alla fine della Prima Guerra Mondiale la Sardegna si ritrovò al centro di un rinnovato interesse grazie anche al clamore suscitato dalle imprese belliche della Brigata Sassari, ampiamente raccontate e amplificate dalla stampa popolare.

In tale interesse venne coinvolto anche il mondo dell’arte e la vita culturale nell’Isola si caratterizzò per un entusiasmo e un fermento che la Sardegna non aveva mai conosciuto.

È in quel clima che, nel maggio del 1921, Felice Melis Marini, importante artista e incisore sardo, organizzò con il Circolo Universitario Cattolico di Cagliari la prima “Mostra d’Arte sarda”.

mostra-sarda-bLa mostra si presentava come una vasta rassegna che raccoglieva le opere di artisti sardi già affermati (Francesco Ciusa, Antonio Ballero, Mario Delitala, lo stesso Melis Marini) accanto a giovani destinati a ricoprire un ruolo importante nella storia dell’arte sarda, e non solo.

La Mostra, infatti, rappresentò l’esordio artistico di Stanis Dessy (presente con sculture e pitture) e Albino Manca, e registrò la partecipazione di Edina Altara, Carmelo Floris, Cesare Cabras, Federico e Pino Melis, tutti destinati a diventare colonne portanti nella storia dell’arte della Sardegna del ‘900.

La Mostra ebbe vasta eco nella stampa locale e nazionale e suscitò anche qualche polemica per il fatto che un’intera sala era stata dedicata al fotografo Alfredo Ferri di Cagliari. Il fatto di equiparare la fotografia alle altre Arti scatenò, infatti, le ire di tanti critici che non le riconoscevano quel ruolo.

Tra i tanti articoli che recensirono la Mostra d’Arte sarda, il giornale “Il popolo romano” pubblicò (31 luglio 1921) un’estesa recensione, che occupava quasi un’intera pagina, firmata GEC.
GEC era il nome d’arte di Enrico Gianeri ed era l’acronimo di “Gianeri Enrico Cagliari”.

Gianeri, nato nel 1900 a Firenze da genitori sardi, visse e studiò a Cagliari sino all’età di vent’anni. La sua attività cagliaritana fu caratterizzata da una notevole propensione per la caricatura e la satira, tanto che fu l’animatore di innumerevoli riviste e giornali che proprio nella satira avevano il loro punto di forza. Trasferitosi a Torino, GEC iniziò la collaborazione con diverse testate tra cui Il Pasquino (1922) di cui divenne anche direttore.

Le sue idee socialiste lo portarono spesso a scontri con gli apparati di regime, tanto che per tutta la durata del fascismo dovette utilizzare degli pseudonimi e affiancare all’attività di vignettista quella di traduttore.

Dopo la caduta del fascismo GEC riprese in pieno il suo lavoro e si concentrò in particolar modo sullo studio della storia della satira. Tali studi, che proseguirono fino alla sua morte (1984), sfociarono nella pubblicazione di numerosi testi che lo hanno reso uno dei più importanti studiosi per quanto riguarda questa materia.

L’articolo di GEC sulla Mostra d’Arte sarda è una dimostrazione del suo “stile” di lavoro: un testo critico sugli artisti presenti in mostra accompagnato da una serie di vignette, caratterizzate da un segno teso ed essenziale che esalta la sintesi del bianco/nero, illustra in caricatura alcuni protagonisti della mostra stessa.

1-lo-scultore-ciusa-2Francesco Ciusa, che alla mostra partecipava con una propria sala dove erano raccolte tutte le sue opere (“Una piccola saletta immersa in una penombra verde e dove si entra silenziosi come in un santuario”), è raffigurato con il suo classico pizzetto e con un cappello a tesa larga che conferiscono allo scultore di Nuoro quasi un’aria da bohemienne.

1-lo-scultore-s-dessyLa stessa aria la ritroviamo nella caricatura di Stanis Dessy. L’artista, pizzetto nero, occhialini, grande papillon e cappellaccio nero, viene presentato da GEC come pittore e scultore e viene segnalato per “qualche acquerello di paesaggio che dimostra buone doti”, anche se la sua ceramica “Cuffietta risente un po’ troppo l’influenza del maestro”.

1-federico-e-pino-melisFederico Melis, “modellatore savio ed accorto”, elogiato per gli ottimi risultati ottenuti con la ceramica, è ritratto in caricatura assieme al fratello Pino Melis, autore di “notevoli” disegni colorati, “benché un po’ troppo stiracchiati nella stilizzazione”.

1-il-prof-melis-mariniFelice Melis Marini, con un’ aria quasi corrucciata, viene presentato in caricatura come uno degli organizzatori e le sue acqueforti in mostra “sono di una severa ed astratta classicità, di una impeccabile precisione di segno”.

Altre vignette di GEC riguardano B.Fadda e G.Manca che esponevano in mostra alcune caricature, l’architetto Cova e Diodata Delitala, autrice di una serie di merletti a filet di Bosa.

1-edina-altaraL’ultima caricatura a corredo dell’articolo è dedicata da GEC a Edina Altara, e alla sua opera “I ciechi di S.Domenico”, che viene così presentata: “Fra gli artisti che non possono essere compresi tra i pittori né tra gli scultori capeggia, come in qualunque circolo, l’elegantissima Edina Altara che è oggi fra le donne l’artista più discussa, più designata, più levata alle stelle. Se i suoi primi lavori possono dar campo, e forse largo, ad una discussione, però “I ciechi di S.Domenico” segna un gran passo avanti nella produzione della giovinetta artista. Qui alla freddezza della policromia delle carte magistralmente riunite in un tutto armonico si unisce il caldo sentimento e il dolore di due anime prive di luce. Noi siamo certi che Edina Altara, liberandosi dalle indecisioni e da falsi profeti, riuscirà ad evolversi e a calcare la via giusta che mena ad una gloria non effimera ma duratura quale Lei può aspirare e quale ce la promette “I ciechi di S.Domenico”.

L’articolo rappresenta una bella testimonianza per quanto riguarda una importante pagina dell’Arte in Sardegna e per quanto attiene ad una figura di primo piano come quella di Enrico Gianeri che, con le sue vignette e con il marchio GEC, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della satira del ‘900.

 

Una “pinocchiata” di Edina Altara

la promessa sposa di pinocchioQuando Ugo Scotti Berni, nel 1939, per l’editore Marzocco di Firenze pubblicò il libro “La promessa sposa di Pinocchio”, scrisse l’ultimo capitolo delle cosiddette “pinocchiate”, quei libri, cioè, che, sfruttandone il successo, in qualche modo si rifacevano al burattino inventato da Carlo Lorenzini “Collodi”.
Il libro di Scotti Berni era illustrato da Attilio Mussino e si avvaleva della prefazione di Paolo Lorenzini, “Collodi Nipote”. Nella dedica l’Autore presentava il volume come la “vera” continuazione di Pinocchio ed asseriva che il racconto gli era stato narrato direttamente da Carlo Lorenzini: “Alla venerata memoria del vecchio amico di mia lieta infanzia Carlo Lorenzini detto il Collodi dedico la fantasiosa novella ch’Egli pensò ma che non scrisse e di cui a me – con paterna speranza confidò il soggetto perch’io ne assolvessi testamentario lascito a discepolo fedele la lusinghiera attuazione dopo cinquanta anni dal nostro ultimo incontro nella bella Firenze”.
Comunque sia “La promessa sposa di Pinocchio” ebbe un buon successo, fu ristampato diverse volte e venne tradotto anche in francese e in rumeno.
boro0talco5Tra le altre cose il volume ebbe una certa notorietà in quanto divenne il gadget di un concorso indetto dalla Farmacia Roberts di Firenze (quelli del Borotalco) che, ispirandosi al libro, ideò una serie di 25 figurine reperibili nei loro prodotti. Chi completava la serie di figurine doveva inviarle alla Roberts e riceveva il libro in omaggio.
La particolarità delle figurine era data dal fatto che le immagini riprodotte erano fustellate lungo la loro sagoma in modo che, con una leggera piegatura, potevano stare in piedi e permettevano ai bambini di usarle per giocare, magari fantasticando su Pinocchio e sulla sua sposa.
Ma la cosa veramente interessante era data dal fatto che le figurine, invece di riprendere le illustrazioni realizzate da Mussino per il libro, erano realizzate da altri autori e tra queste alcune erano dovute alla mano di Edina Altara (1898 – 1983), la grande artista e illustratrice sarda.
ALTARA BOROTALCO (1)ALTARA BOROTALCO (2)ALTARA BOROTALCO (3)

ALTARA BOROTALCO (5)ALTARA BOROTALCO (4)figurina pinocchioL’Altara anche in queste miniature dimostrò la sua maestria realizzando figure chiare e nitide, colorate, in grado di stimolare e catturare la fantasia dei più piccini. Un altro interessante capitolo, insomma, da collocare nel filone delle illustrazioni per l’infanzia che rappresenta uno degli aspetti più importanti per quanto riguarda le molteplici e spesso eclettiche attività di Edina.

Alcune immagini sono riprese dal sito:
http://www.cartantica.it/pages/pinocchiomania.asp

Libreria Salimbeni: quando scoprii Edina Altara

Vitaliano Salimbeni era un libraio di vecchio stampo. Andavo in libreria, chiedevo qualcosa e, senza l’ausilio di computer o schedari, era in grado di dirmi, in una libreria con migliaia di volumi, se il libro c’era oppure no. E non si trattava certo di libri nuovi, ma di libri ormai fuori catalogo, spesso da anni.
Mi conquistò quella volta che, dopo trenta secondi da quando glielo avevo chiesto, apparve dal retro del negozio con in mano il numero speciale dedicato alla Sardegna de Il Ponte, rivista diretta da Piero Calamandrei, uscita nel 1951, che cercavo da tempo.
Eravamo alla fine degli anni ’70 e, da quel giorno, la Libreria Salimbeni di Firenze diventò mio punto di riferimento per i libri esauriti e fuori catalogo, soprattutto, per quelli che riguardavano la Sardegna.
Da quel giorno Salimbeni inizio a tenermi da parte tutto quello che poteva riguardare la Sardegna (libri, riviste, giornali, cartoline, ecc.), da farmi vedere, poi, quando capitavo in libreria.
Qualche tempo dopo fu lui a sottopormi per l’acquisto alcuni numeri de Il Giornalino della Domenica con le copertine illustrate da artisti sardi del calibro di Giuseppe Biasi, Pino e Melkiorre Melis, Remo Branca. Tra i tanti anche una illustratrice, Edina Altara, allora per me del tutto sconosciuta.
Feci le dovute ricerche (ancora computer e internet non esistevano) e ricostruii l’iter artistico dell’Altara, caratterizzato da una produzione eclettica che andava dall’illustrazione alla ceramica, con importanti sconfinamenti nel campo della moda e dell’arredamento.
Una carriera artistica straordinaria iniziata ancora adolescente, una figura singolare che, da quella copertina del “Giornalino”, non ho più abbandonato, riuscendo negli anni a raccogliere numerose pubblicazioni e cartoline da lei illustrate, alcune ceramiche e due disegni originali, utilizzati per illustrare il volume Avventure straordinarie di Cicognino , pubblicato da  Paravia nel 1947.
Una ricerca mai smessa, che ancora continua, e che sembra non aver fine, visto che su Edina Altara continuano a emergere attenzioni e novità, accompagnate sempre da nuove sorprese che ne esaltano l’opera e il percorso artistico.