Archivi tag: Cagliari

Le “Cartoline” di Nivola

nivola-i-miss-you-heather-1978 Nel 1978 per la Artists’ Postcard di New York, una associazione che coinvolgeva artisti nella realizzazione di cartoline postali, Costantino Nivola realizza una cartolina che sarà esposta anche nel Cooper-Hewitt Museum del Smithsonian Institution’s National Museum of Design.

La cartolina, dal titolo “I miss you Heather” (mi manchi Heather), sarà lo spunto per una serie di lavori realizzati da Nivola, a penna e pastello su carta, dal titolo “Cartoline da…”. Alcune di queste opere sono state pubblicate nel volume Nivola dipinti e grafica (Jaca Book, Milano 1995) curato da Alberto Crespi, Fred Licht e Salvatore Naitza.

foto-088-dicomano-2-013bisDi questa serie fa parte anche la litografia del 1980 “Cartoline da Cagliari”.

In questo lavoro delle cinque cartoline che compongono il quadro, in una sorta di falso collage, solo una è in bianco; le altre sono riprodotte come se fossero state spedite da Cagliari a indirizzi e persone realmente esistenti.

L’opera assume così il senso di un messaggio collettivo, mediato tramite la narrazione breve e discorsiva riservata normalmente alle cartoline.

Con questo artifizio Nivola fa emergere tutto il suo carattere, “un poco rude nelle sue espressioni laconiche e tassative che sembravano provenire da un profondo silenzio e da una assorta meditazione”(U.Collu, 1995).

Così, dal groviglio di segni che fanno intuire alcune peculiari caratteristiche di Cagliari, emergono le cartoline indirizzate alla moglie Ruth, alla nipote Tonina e al marito Antonio Rusui, a Miriam Chiaromonte e a Richard Bender.

foto-089-dicomano-2-007Sono cartoline personali, con osservazioni mirate e acute che, come nel caso della cartolina indirizzata a Ruth, saranno riportate nel volume postumo “Ho bussato alle porte di questa città meravigliosa”, pubblicato dalla Arte Duchamp di Cagliari nel 1993, che raccoglie scritti e riflessioni di Nivola.

Scrive Nivola: “Cagliari, maggio 17 ’80. Cagliari, come Atene, è una foresta di balconi di cemento. Tra queste trivialità architettoniche, il Bastione e il Castello, come il Partenone, sono un’apparizione inaspettata e felice. Ti abbraccio. Costantino

foto-090-dicomano-2-017La cartolina a Tonina (Tonia, scrive Nivola), figlia della sorella Maria, e al marito Antonio Rusui è scritta in sardo. Ai due, che a Orani gestivano un bar, Nivola scrive: “Cagliari, 17 maggio 80. Tonia e Antoni istimaos, in sa profescione de Sant’Efisiu sas bellas zovanas in costumes de gala sun coladas caminande a passos de pudda abbizzandesi abbadiadas chin ispantu. Nos àna crepau in cara bulloncas maccas de cingomma. A menzus biere, ziu Titinu (Tonia e Antonio stimati, durante la processione di Sant’Efisio le belle giovani con i costumi di gala hanno sfilato a passo di gallina sentendosi osservate e ammirate. E ci hanno fatto scoppiare in faccia le bolle con la gomma da masticare. Arrivederci a presto. Zio Titino”.)

foto-092-dicomano-2-005A Bender Nivola scrive in inglese: “Caro Richard, l’architettura che amo di più a Cagliari è quella che non esiste, negli spazi vuoti, dove in questa stagione sbocciano i papaveri e i carciofi selvatici. I migliori auguri. Tino”

Dello stesso tenore è anche la cartolina indirizzata a Miriam Chiaromonte a Roma. “Cara Miriam, come nella Russia di Tolstoi quando si parlava tanto in francese per dire poco, a Cagliari si foto-091-dicomano-2-008parla molto – e assai bene – in italiano anche se per dire ancora meno. Si vede che ciò che veramente conta si può dire, magari brontolando, soltanto nella lingua materna. Con affetto Titino. Cagliari 17 maggio 1980”.

L’opera è la sintesi dell’uomo Nivola, con l’utilizzo delle tre lingue a lui congeniali (sardo, italiano e inglese) e con le cartoline alla moglie, ai parenti di Orani, al decano di Berkeley (quell’anno Nivola insegnava lì) all’amica Miriam Rosenthal, moglie di Nicola Chiaromonte, un intellettuale italiano che, come Nivola, era scappato prima in Francia poi negli Usa per le sue idee ostili al fascismo.

Dalle cartoline emerge chiaramente anche una sottile “antipatia” per Cagliari, che in quell’anno vede Nivola esporre alla Galleria Arte Duchamp e che, in quel momento, rappresenta la punta più avanzata della Sardegna che cambia e non risponde più ai canoni dell’artista: l’irriverenza delle ragazze in costume che fanno le bolle col chewing-gum, i discorsi vuoti in italiano e la selva di balconi e il cemento che riempie tutti gli spazi.

(Brano tratto dal mio libro “Il Nivola ritrovato”, Nardini Editore, Firenze 2012)

La Sardegna di Alberto Frattini

Alberto Frattini (Firenze 1922 – Roma 2007), padre dell’attuale Ministro degli Affari Esteri, critico, poeta e professore universitario, nel 1969 pubblico un volume, “Scoperta di paesi”, di impressioni di viaggio, che raccoglieva note in stile “giornalistico” redatte dall’autore tra il 1944 e il 1966.
Il volume, pubblicato dall’Istituto Propaganda Libraria di Milano, riporta anche un capitolo dedicato alla Sardegna e a Cagliari in particolare.
Lo scritto risale al 1945 e Fratini riporta le impressioni sulla città martoriata dai bombardamenti: “qua e là, sul quadro panoramico, sono ben visibili i guasti dei bombardamenti … il porto dà un senso di squallore, di abbandono. Pare che anche la vita qui intristisca, come i radi ciuffi d’erba sulle rovine”.
Fratini continua il suo giro in città e non può fare a meno di sottolineare la “inquietante carenza di efficienti organi che mettano in valore le risorse naturali di questa non fortunata regione”.
L’isolamento storico della Sardegna è per Fratini la causa principale dell’abbandono dell’isola e “abbiamo sentito ripetere da più di un sardo che Roma abbia trattato l’isola né più né meno che come una colonia da sfruttare”. Nelle sue considerazioni, Frattini non manca di sottolineare “che di ciò i vari governi centrali debbano dividere le responsabilità”.
Nella sua narrazione, poi, Frattini racconta della visita alla Manifattura Tabacchi dove gli ambienti risultano saturi dalle esalazioni della lavorazione del tabacco. “”L’atmosfera – scrive – è come pervasa da un sottile aroma inebriante che a lungo andare dà, mi dicono, leggere vertigini. Più o meno tutte le lavoranti, donne di ogni età, recano nel fisico tracce di questo veleno profumato … il rosa diventa per i loro visi un colore perduto per sempre”.
E la “denuncia” continua segnalando le immani difficoltà in cui versa la popolazione: “Anche i poveri qui sono diversi da quelli del continente: un’altra fisionomia, si direbbe un’altra tragicità”. Poi la siccità, le cavallette, il bestiame che muore. In una parola un flagello.
“I sardi però non disperano”, continua Frattini, “credono nel lavoro, non si perdono nella cattiva sorte”.
Poi le considerazioni politiche: “Qua la gente, mi dicono, si occupa poco di beghe politiche, che non son fatte per chi ha l’assillo del lavoro e della fame: sembra però che il programma che riscuote i maggiori consensi sia quello impostato sulla formula autonomistica” che, per Frattini, “finisce per smarrire il senso della solidarietà nazionale”.
Frattini quindi, conclude con una valutazione: “Tuttavia per un paese come la Sardegna in cui le diverse forme di vita sociale ed economica sempre più necessitano di un incremento evolutivo non crediamo che la tendenza isolazionistica, risultante da una conseguente autonomia, potrebbe domani costituire una fruttuosa conquista”.

Giacomo Devoto a Cagliari

Giacomo Devoto (1897 – 1974), glottologo e linguista, scriveva: “La nostra vita è una successione ininterrotta di incontri: con maestri, con compagni. Ma a un certo momento gli incontri della mia vita hanno dovuto tener conto di un fatto nuovo che li influenzava, il fascismo. Venuto su nella convinzione cavouriana che le società degne sono quelle ispirate a libertà e democrazia, ho visto nel fascismo una parentesi, destinata a richiudersi con uno sforzo di volontà, così come nella negligenza e nell’abbandono si era aperta. Se l’immagine della parentesi chiusa, e cioè di un ritorno a una società ordinata corrisponda alla realtà, potrà dire solo l’avvenire”.
E “La Parentesi – Quasi un diario” è il titolo del volume che raccoglie alcuni scritti di Devoto sul prima e sul dopo del fascismo, con riflessioni sui luoghi e sui personaggi incontrati nel suo percorso di studi e di vita.
Nel libro Devoto dedica un capitolo alla Sardegna e a Cagliari in particolare, città dove ebbe modo di insegnare tra il 1928 e il 1929.
Racconta che arrivò in Sardegna, certamente non carico di entusiasmo, con una immagine dell’isola legata alle cronache del passato sul banditismo e ai fatti della prima guerra mondiale con l’eroica esaltazione della Brigata Sassari: “mi ritenevo vittima – scrive – di una sorte avversa, solo perché non mi era stato possibile evitare il noviziato sardo”.

Cagliari in una cartolina degli anni '20

Della Sardegna Devoto ha modo di conoscere e vedere poco, e quel poco è legato soprattutto a vicende e personaggi dell’ateneo cagliaritano: abita nel centro di Cagliari, frequenta l’università, ha contatti solo con alcuni colleghi professori dell’ateneo e poco più, “i miei orizzonti erano limitati ad una ristretta cerchia di persone”, afferma.
Tra i suoi ricordi scrive che, appena giunto a Cagliari, per i suoi trascorsi combattentistici durante la prima guerra mondiale, venne incaricato di commemorare nell’aula magna dell’Università, la morte del maresciallo Armando Diaz, avvenuta il 29 febbraio. Cosa che fece con una contrapposizione “non originalissima” tra l’operato di Cadorna e quello di Diaz.
Di quell’anno a Cagliari ricorda i colleghi docenti Adelchi Baratono, Giuseppe Toffanin e Bachisio Motzo che – scrive Devoto <<mi diede una definizione di alto interesse in fatto di temperamenti regionali. “Sai qual è la differenza fra sardi e napoletani?”. “Sono un piccolo agricoltore. Se faccio una osservazione al mio contadino napoletano, mi risponde magari con insolenza, ma il giorno dopo mi dice “buon giorno eccellenza”. Se faccio un’osservazione al contadino sardo, rimane silenzioso, e poi aggiunge “mi ricorderò quello che m’ha detto”>>.
Per quanto breve, Devoto ricorda la sua permanenza a Cagliari come una fase “civile e fervida” che rimarrà viva per tutta la sua carriera di docente anche a Firenze, Padova e ancora Firenze dove insegnò dal 1935 al 1967. Tra le tante benemerenze, Devoto può annoverare anche la presidenza dell’Accademia della Crusca che, durante la sua reggenza (1964/1972) riprese i lavori lessicografici, interrotti nel 1923. Grazie a Lui la Crusca ottenne in concessione dal Demanio la villa medicea di Castello che, restaurata, nel 1972 accolse i servizi e quelli dell’Opera del Vocabolario. In quel periodo, inoltre, la Crusca ottenne una nuova legge di finanziamento e varò un nuovo statuto che sancì la creazione di altri due centri di studi ( lessicografia e grammatica italiana) affiancati al preesistente Centro di Studi di filologia. Altri tempi, vien da dire, rispetto all’abbandono e alle misere elemosine lesinate oggi alla Crusca e alle altre istituzioni culturali fiorentine!!

Il principe romano e la Madonna di Bonaria

Quando il principe Baldassarre Odescalchi decise di fare una gita a Cagliari, eravamo alla fine dell’800 e il resoconto di tale gita si trova pubblicato nel volumetto “Impressioni di storia e d’arte”, edito dalla Casa Editrice Edoardo Perino di Roma nel 1896.
Gli appunti di viaggio vennero redatti da Odescalchi ad uso del signor Decio Cortesi, uno degli editori del Fanfulla della domenica, giornale che veniva stampato nella Capitale e che ogni tanto si occupava di cose “esotiche”, come poteva essere la cronaca di un viaggio in Sardegna.
Il resoconto della “gita” a Cagliari occupa una trentina di pagine del volumetto (che raccoglie anche altri scritti non sardi) e parte dal momento dello sbarco a Golfo Aranci: “un molo ed un poco più in su la stazione della ferrovia; edificio solitario in mezzo a tanta desolazione della natura”.
E qui iniziano subito i “ritmi” sardi: “il treno, partito dal golfo, dopo tre o quattro minuti, arriva alla stazione, e li si ferma per quaranta minuti”. E avanti così, “a passo di lumaca, in dodici ore si arriva a Cagliari”.
Un impatto non certo degno della “modernità” del ‘900 che si avvicina e sicuramente non degno al rango del principe. Ma così è, e bisogna adattarsi!!
Una volta a Cagliari Odescalchi non osa addentrarsi nell’interno, rimandando a periodi più favorevoli, a causa del “caldo veramente tropicale e della malaria che infieriva in questa stagione”, e decide, pertanto, di dedicarsi alla scoperta di “una città di circa quarantamila abitanti, posta in un luogo elevato in mezzo ad un bellissimo paesaggio”.

Cagliari in un acquerello del 1912 di Louise Radigois

Visita il museo archeologico e lo descrive con dovizia di particolari, soffermandosi anche su un grande modello di nuraghe in sughero “che, aprendosi per mezzo, rende visibile tutta la costruzione interna del monumento”, e affermando come sia “curioso notare che questa, oggi preziosa raccolta, ebbe origine con un dono di oggetti falsi fatto dal La Marmora”.
La visita continua con la chiesa di Santa Cecilia, cattedrale di Cagliari, che Odescalchi descrive per gli aspetti storici, artistici e per i tesori sacri ivi posseduti: “In questo tesoro si conserva ancora un trittico dipinto, nel cui centro è la Vergine col Cristo deposto dalla croce, e su gli sportelli Sant’Anna e Santa Margherita. Raccontano che questo prezioso dipinto appartenesse al Papa Clemente VII che, lo teneva carissimo nelle sue stanze private, e che, nel sacco di Roma, venisse rubato da un soldato sardo, il quale poi pentitosi, e confessato il suo peccato, ebbe ordine dal Pontefice di darlo alla cattedrale di Cagliari”.

L'anfiteatro di Cagliari in un disegno di J.B.Barla del 1841

Ode scalchi continua il suo tour visitando l’anfiteatro romano, “tagliato nella roccia sul declivio d’un colle in prossimità del mare”, e spingendosi sino alle saline, “che sono le più importanti d’Italia”. 

Acquerello di J.B.Barla del 1841

A Quartu la gita assume carattere etnico e il principe assiste alla vestizione di una ragazza con il ricchissimo costume “tutto di velluto e broccato, e sopracarico di ornamenti in oro, collane, pendoli, grandi orecchini in filigrana, con le dita coperte di anelli sino all’ultima falange”; antesignano della globalizzazione, Odescalchi sottolinea che i costumi tradizionali stanno pian piano scomparendo e che “fra breve i grandi magazzini avranno portato ad assoluta uguaglianza il vestire di tutto il genere umano”.
L’ultimo giorno del soggiorno cagliaritano, il principe lo dedica alla visita della Basilica della Vergine di Bonaria. Anche in questo caso ne traccia la storia e descrive la struttura e i suoi tesori artistici, soffermandosi sulla descrizione dei numerosi ex-voto conservati nella chiesa.
Si addentra poi in una “spinosa” disquisizione dove, in generale, critica la mancanza di studi seriamente scientifici sulle tante immagini sacre conservate nei vari santuari d’Italia, per poi affermare, senza tema di smentita, a proposito della statua lignea della Madonna di Bonaria, che si tratta di una scultura spagnola della fine del ‘500 o primi del ‘600. Questo contrariamente a quanto affermato dalla leggenda, che vuole la scultura restituita dal mare, a seguito del naufragio di una nave, nell’anno 1370. “Ora dunque – afferma Odescalchi – o la nave non è qui approdata nel secolo decimo quarto, ma invece nel decimo sesto, o al principio del decimo settimo, oppure quella statua non è più la primitiva”.
Concludendo il suo ragionamento il principe afferma che “per quel che ho detto, se stessi ancora in Cagliari, i miei buoni amici di colà sarebbero capaci di lapidarmi”.
Ma il principe non è più in Sardegna: è già ripartito. Stavolta, però, direttamente da Cagliari con il piroscafo diretto a Napoli, in modo da evitare, anche al ritorno, quelle insopportabili 12 ore di treno.