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GEC e la “Mostra d’Arte sarda”

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Autocaricatura di GEC

Alla fine della Prima Guerra Mondiale la Sardegna si ritrovò al centro di un rinnovato interesse grazie anche al clamore suscitato dalle imprese belliche della Brigata Sassari, ampiamente raccontate e amplificate dalla stampa popolare.

In tale interesse venne coinvolto anche il mondo dell’arte e la vita culturale nell’Isola si caratterizzò per un entusiasmo e un fermento che la Sardegna non aveva mai conosciuto.

È in quel clima che, nel maggio del 1921, Felice Melis Marini, importante artista e incisore sardo, organizzò con il Circolo Universitario Cattolico di Cagliari la prima “Mostra d’Arte sarda”.

mostra-sarda-bLa mostra si presentava come una vasta rassegna che raccoglieva le opere di artisti sardi già affermati (Francesco Ciusa, Antonio Ballero, Mario Delitala, lo stesso Melis Marini) accanto a giovani destinati a ricoprire un ruolo importante nella storia dell’arte sarda, e non solo.

La Mostra, infatti, rappresentò l’esordio artistico di Stanis Dessy (presente con sculture e pitture) e Albino Manca, e registrò la partecipazione di Edina Altara, Carmelo Floris, Cesare Cabras, Federico e Pino Melis, tutti destinati a diventare colonne portanti nella storia dell’arte della Sardegna del ‘900.

La Mostra ebbe vasta eco nella stampa locale e nazionale e suscitò anche qualche polemica per il fatto che un’intera sala era stata dedicata al fotografo Alfredo Ferri di Cagliari. Il fatto di equiparare la fotografia alle altre Arti scatenò, infatti, le ire di tanti critici che non le riconoscevano quel ruolo.

Tra i tanti articoli che recensirono la Mostra d’Arte sarda, il giornale “Il popolo romano” pubblicò (31 luglio 1921) un’estesa recensione, che occupava quasi un’intera pagina, firmata GEC.
GEC era il nome d’arte di Enrico Gianeri ed era l’acronimo di “Gianeri Enrico Cagliari”.

Gianeri, nato nel 1900 a Firenze da genitori sardi, visse e studiò a Cagliari sino all’età di vent’anni. La sua attività cagliaritana fu caratterizzata da una notevole propensione per la caricatura e la satira, tanto che fu l’animatore di innumerevoli riviste e giornali che proprio nella satira avevano il loro punto di forza. Trasferitosi a Torino, GEC iniziò la collaborazione con diverse testate tra cui Il Pasquino (1922) di cui divenne anche direttore.

Le sue idee socialiste lo portarono spesso a scontri con gli apparati di regime, tanto che per tutta la durata del fascismo dovette utilizzare degli pseudonimi e affiancare all’attività di vignettista quella di traduttore.

Dopo la caduta del fascismo GEC riprese in pieno il suo lavoro e si concentrò in particolar modo sullo studio della storia della satira. Tali studi, che proseguirono fino alla sua morte (1984), sfociarono nella pubblicazione di numerosi testi che lo hanno reso uno dei più importanti studiosi per quanto riguarda questa materia.

L’articolo di GEC sulla Mostra d’Arte sarda è una dimostrazione del suo “stile” di lavoro: un testo critico sugli artisti presenti in mostra accompagnato da una serie di vignette, caratterizzate da un segno teso ed essenziale che esalta la sintesi del bianco/nero, illustra in caricatura alcuni protagonisti della mostra stessa.

1-lo-scultore-ciusa-2Francesco Ciusa, che alla mostra partecipava con una propria sala dove erano raccolte tutte le sue opere (“Una piccola saletta immersa in una penombra verde e dove si entra silenziosi come in un santuario”), è raffigurato con il suo classico pizzetto e con un cappello a tesa larga che conferiscono allo scultore di Nuoro quasi un’aria da bohemienne.

1-lo-scultore-s-dessyLa stessa aria la ritroviamo nella caricatura di Stanis Dessy. L’artista, pizzetto nero, occhialini, grande papillon e cappellaccio nero, viene presentato da GEC come pittore e scultore e viene segnalato per “qualche acquerello di paesaggio che dimostra buone doti”, anche se la sua ceramica “Cuffietta risente un po’ troppo l’influenza del maestro”.

1-federico-e-pino-melisFederico Melis, “modellatore savio ed accorto”, elogiato per gli ottimi risultati ottenuti con la ceramica, è ritratto in caricatura assieme al fratello Pino Melis, autore di “notevoli” disegni colorati, “benché un po’ troppo stiracchiati nella stilizzazione”.

1-il-prof-melis-mariniFelice Melis Marini, con un’ aria quasi corrucciata, viene presentato in caricatura come uno degli organizzatori e le sue acqueforti in mostra “sono di una severa ed astratta classicità, di una impeccabile precisione di segno”.

Altre vignette di GEC riguardano B.Fadda e G.Manca che esponevano in mostra alcune caricature, l’architetto Cova e Diodata Delitala, autrice di una serie di merletti a filet di Bosa.

1-edina-altaraL’ultima caricatura a corredo dell’articolo è dedicata da GEC a Edina Altara, e alla sua opera “I ciechi di S.Domenico”, che viene così presentata: “Fra gli artisti che non possono essere compresi tra i pittori né tra gli scultori capeggia, come in qualunque circolo, l’elegantissima Edina Altara che è oggi fra le donne l’artista più discussa, più designata, più levata alle stelle. Se i suoi primi lavori possono dar campo, e forse largo, ad una discussione, però “I ciechi di S.Domenico” segna un gran passo avanti nella produzione della giovinetta artista. Qui alla freddezza della policromia delle carte magistralmente riunite in un tutto armonico si unisce il caldo sentimento e il dolore di due anime prive di luce. Noi siamo certi che Edina Altara, liberandosi dalle indecisioni e da falsi profeti, riuscirà ad evolversi e a calcare la via giusta che mena ad una gloria non effimera ma duratura quale Lei può aspirare e quale ce la promette “I ciechi di S.Domenico”.

L’articolo rappresenta una bella testimonianza per quanto riguarda una importante pagina dell’Arte in Sardegna e per quanto attiene ad una figura di primo piano come quella di Enrico Gianeri che, con le sue vignette e con il marchio GEC, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della satira del ‘900.

 

NUORO: ATENE DELLA SARDEGNA

Leopoldo Carta (1878-1932), originario di Nuoro, era laureato in scienze economiche anche se la sua attività era più orientata verso la scrittura e il giornalismo. Fu anche drammaturgo e a lui si devono i testi della tragedia lirica “Ghismonda”, musicata da Renzo Bianchi e rappresentata per la prima volta a Roma nel giugno del 1917.
bisi il regalo di nozze 134Tra le altre cose Carta scrisse anche “Il regalo di nozze”, una raccolta di novelle sarde pubblicata dalla Casa Editrice Cadde di Milano nel 1922, con una bella copertina illustrata a colori da Carlo Bisi.
Come giornalista Leopoldo Carta collaborò con diverse testate tra cui la “Piemontese” , la “Nuova Sardegna”, “L’Unione Sarda” e, infine, “Il Popolo d’Italia”.
Sul numero 6 di giugno 1910 della rivista “Il Secolo XX” pubblicata dai Fratelli Treves, esce un articolo di Carta, definito “giornalista e letterato di bell’avvenire”, dal titolo “L’Atene della Sardegna”, dedicato a Nuoro e alla sua élite intellettuale.
il secolo xx  241La città è descritta con toni “pittoreschi” che cercano di ribaltare l’idea comune di Nuoro “zona delinquente”, facendo leva soprattutto sulle figure di Grazia Deledda, di Sebastiano Satta, di Antonio Ballero e di Francesco Ciusa, massimi rappresentanti della cultura nuorese e non solo. Di Ballero e Ciusa sono raffigurate, rispettivamente, le opere “Sa ria” e “La madre dell’ucciso”, mentre di Satta e riportata la poesia “La Greggia”.
I quattro “illustri nuoresi” sono anche raffigurati in altrettanti ritratti. E mentre Satta, Ciusa e Ballero sono resi con attendibile somiglianza, Grazia Deledda appare alquanto “romanzata” in un ritratto dove l’autore, con il probabile intento di addolcirne i tratti, finisce per ritrarre una persona che solo vagamente assomiglia alla grande scrittrice.
L’articolo è corredato anche da alcune foto nuoresi e da una foto che ritrae un gruppo di oranesi in costume, definiti dalla didascalia come “testimoni di Orani davanti al palazzo dell’Assise”.
Un articolo che, nonostante l’eccesso di toni leziosi e idilliaci, risulta comunque interessante per la convinta esaltazione dei “fervidi ingegni” nuoresi che traspare dallo scritto di  Carta e per certe testimonianze e accenni alla vita da paesone che caratterizzavano la Nuoro di inizi ‘900.

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Francesco Ciusa e la Brigata Sassari

Francesco_ciusaNel 1919, cessata la Prima Guerra Mondiale, i cittadini veneti residenti in Sardegna promossero la realizzazione di una targa commemorativa dedicata alla Brigata Sassari che aveva contribuito in modo fondamentale alla liberazione delle terre venete.
La targa venne realizzata dallo scultore nuorese Francesco Ciusa e fu accompagnata da una lapide che riportava una frase di Antonio Fradelleto, Ministro per le terre liberate, dove si esaltavano le “eroiche virtù” dei sardi della Brigata Sassari.
La targa e la lapide, che erano state collocate sulla parete della scalinata del cortile d’onore del municipio di Cagliari, purtroppo, sono state distrutte dai bombardamenti americani del 1943 e se ne sono perse le tracce. Rimane solo il ricordo nelle cronache dell’epoca pubblicate sul Gazzettino e sull’Unione Sarda (si veda in proposito la ricerca condotta da Dario Dessì per Tottus in pari ).

medaglia ciusa 009Ma Ciusa si era già occupato della Brigata Sassari quando nel 1916 realizzò una medaglia commemorativa commissionata dai sardi residenti a Milano.
La medaglia, nel fronte, raffigura due plastici corpi speculari, col capo chino, che poggiano sugli scudi e su una spada centrale. Nello sfondo una figura di donna con una mano regge una lancia e con l’altra una figura alata che poggia il piede su un globo.
medaglia ciusa 010Le figure sono incorniciate dalla scritta “ A TE I TUOI FIGLI ITALIA CON FERMA FEDE PERCHE’ SORGA AL SOLE LA TUA FRONTE”.
La medaglia riporta la firma di Ciusa e dell’incisore Donzelli che la realizzò.
Nel retro, la cornice è costituita da un incrocio di falci e spighe, mentre una spada divide lo spazio in due parti che contengono il comunicato del Comando Supremo del 15/XI/1915 e la dedica “ALLA BRIGATA SASSARI SIMBOLO DELL’EROISMO DEL POPOLO DI SARDEGNA OMAGGIO DI AMMIRAZIONE E DI RICONOSCENZA DEI SARDI RESIDENTI IN MILANO – FEBBRAIO 1916”. Nella cornice esterna la scritta “MORTE GLORIA LIBERTA’”.

Ciusa nel realizzare la medaglia si rifà a motivi classicheggianti che già caratterizzavano la sua opera scultorea, con particolare attenzione alla “fisicità” dei corpi, resi plasticamente nella loro torsione muscolare. La presenza dei due scudi tondi richiama alcuni bronzetti nuragici, caratterizzati proprio da tale dettaglio, mentre la figura alata è una rappresentazione classica della dea Victoria che poggia i piedi sull’orbis terrarum, a simboleggiare il raggiunto dominio sul mondo.

canova napoleoneUna simbologia classica già utilizzata, ad esempio, da Antonio Canova nella statua di Napoleone, idealizzato come Marte vincitore, che tiene con la mano destra il globo dorato sul quale poggia una Vittoria alata.

ciusa illustrazioneIl motivo della medaglia è ripreso da Ciusa ancora nel 1917 quando l’artista dà il suo contributo alla celebrazione della “guerra dei sardi” con una serie di disegni che vanno ad arricchire la pubblicazione “I tuoi figli, Sardegna eroica!”, realizzata per raccogliere fondi a beneficio dei combattenti.
Una serie di raffigurazioni simboliche riprende i temi della medaglia con figure racchiuse entro tondi a simboleggiare la Morte, la Gloria e la Libertà. In un altro disegno la statua bronzea della Vittoria è sovrapposta al volto irrigidito dal dolore di una donna sarda. Sono evidenti le similitudini cartolina ciusa 2con l’immagine della medaglia e sono chiari i richiami alla Madre dell’ucciso, l’opera più importante di Ciusa che nel 1907 tanto successo aveva riscosso alla Biennale di Venezia.
Lo stesso motivo, evidentemente caro all’artista, fu utilizzato a colori anche per una cartolina commemorativa della Brigata Sassari dove, come scrive Giuliana AlteaCiusa riesce a trasformare l’enfasi retorica in concentrazione espressiva”, riuscendo a rappresentare in estrema sintesi la gloria riservata ai fanti, abbinata alla sacrale compostezza dimostrata dai sardi durante il conflitto mondiale.