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La tomba del gigante

“Il viaggio, circa due ore di salita per un sentiero appena tracciato fra i dirupi, gli avvallamenti, il bosco, fu attraversato a piedi dalle ragazze pazzamente felici ed ebbre di quella meravigliosa mattina di agosto, mentre un carro tirato da buoi e carico di masserizie e provviste, le seguiva traballando sui sassi e gli sterpi. La prima sosta, breve, fatta non per stanchezza ma per divertimento, fu al cominciare del bosco fitto, sotto una strana pietra poggiata su altre e detta la tomba del gigante. Sembrava una grande bara, di granito, coperta da un drappo di musco, solenne nella vasta solitudine del luogo. Un tempo, diceva la leggenda, i giganti abitavano la montagna, e uno di essi, a turno, vigilava l’ingresso della foresta: l’ultimo, si stese per morire sulla pietra di confine, che si richiuse su di lui e ancora custodisce il suo corpo.
Era davvero, quello, l’ingresso al mondo degli eroi, dei forti, di quelli che non possono concepire pensieri meschini; e Cosima toccò il masso, come in altri luoghi abbelliti di leggende sacre, si tocca la pietra dove si sia riposato qualche santo”.

Brano tratto da pagina 93 del libro “Cosima” di Grazia Deledda nella bella edizione Mondadori del 1947 con sopracoperta e illustrazioni di Aligi Sassu.

Grazia e Bustianu

Dino Provenzal

Dino Provenzal

Dino Provenzal (1877-1972), che Giovanni Papini definì “Uomo colto, curioso, pronto, arguto, affettuoso ma corrosivo”, era nato a Livorno. Iniziò a scrivere giovanissimo, con uno stile versatile, tendente a un garbato umorismo che lo avvicinava più alla tradizione anglosassone che non a quella mediterranea. Svolse a lungo l’attività di insegnante in tantissime scuole, in lungo e in largo per la penisola, e si stabilì poi definitivamente a Voghera negli anni ’30.

Nel 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, a causa delle sue origini ebraiche, venne escluso dall’insegnamento e dovette nascondersi per sfuggire alla deportazione (il fratello Federico morì ad Auschwitz).
dizionario delle voci 206Provenzal, con l’editore Hoepli di Milano, pubblicò una serie di volumi, caratterizzati da un modo di scrivere gradevole e suggestivo, nei quali gli argomenti erano disposti in ordine alfabetico (Dizionario delle immagini, Dizionario umoristico, ecc.). Tra questi volumi rientra anche il “Dizionario delle voci”, edito nel 1956, una sorta di “catalogo” delle voci (537 pagine) nel quale, attingendo a testimonianze o a memorie scritte, Provenzal tratta di “come parlavano, voce, gesto, loquacità, taciturnità, eloquenza, […] centinaia di uomini e donne d’ogni tempo e d’ogni nazione”.
È un volume piacevole da leggere, ricco di aneddoti e curiosità e tra le centinaia di personaggi esaminati ci sono anche Grazia Deledda e Sebastiano Satta.

Grazia Deeledda e Sebastiano Satta ritratti nel 1910 (da Il Secolo XX n.6, 1910)

Grazia Deledda e Sebastiano Satta ritratti nel 1910 (da Il Secolo XX n.6, 1910)

La Deledda è così descritta da Provenzal: “scrittrice feconda e di alto valore, premio Nobel, fu invece parca nel discorrere e pareva trovar fatica ad esprimersi; ma seppe ascoltare e osservare; e la sua conversazione, pur così laconica, lasciava profonda impressione”.
A supporto di quanto affermato, Provenzal riporta le testimonianze degli scrittori Luigi Falchi e Luigi M.Personé, e della scrittrice e poetessa Mercede Mundula.
Falchi descrive “L’esil voce indistinta”(1) della scrittrice che, come conferma Personé, “parla piano, chiaro, con tono confidenziale, sforzandosi di trovare la parola e la frase che valgano a rendere integralmente il suo animo e il suo pensiero” (2). Mercede Mundula, in una testimonianza inedita raccolta da Provenzal, racconta di come una Deledda “Taciturna per indole e gusto, lo fu, col passar degli anni anche per abitudine … la voce bassa di tono, con la pronuncia stretta di alcune vocali aggiungeva al suo parlare qualcosa di grave e di chiuso”. Una grave solennità che, però, contrastava con la risata: “nulla era più limpido della sua risata né più schietto: un riso giovane e aperto, inatteso e sorprendente” che la Mundula definisce “una rosa nel granito”.
Ma se Grazia Deledda era di poche parole, ben diverso era il modo di presentarsi di Sebastiano Satta, “poeta, avvocato e oratore”. Provenzal raccoglie la testimonianza di Pietro Mastino (3) che così descrive il parlare del Satta: “la sua parola possente fluiva, non pareva più, la sua, la voce di un uomo: nell’aula, bello e terribile, solo egli dominava e fiammeggiava, col gesto ampio e solenne in accordi di voce maschia, piena e sonora”.
Lavorando di fantasia mi viene da immaginare “Bustianu”, in piedi, che parla con la voce impostata e roboante di chi è abituato a frequentare le aule di giustizia, accompagnando il parlare con ampi gesti delle braccia. Grazia, seduta composta davanti a lui, segue il suo parlare con le mani sulle ginocchia in una posa “atavica semplice e solenne” caratterizzata dal “contrasto della impenetrabilità del volto, vivo ed eloquente” con gli “scuri occhi dal volgere lento, attenti, e soprattutto scrutatori”. E ogni tanto anche Grazia parla, un “parlare disadorno, di un’estrema semplicità … e le frasi dense rompevano il silenzio con tonfo di pietre”.

1) – Parlando al telefono con Grazia Deledda, in Nuova Antologia, ottobre 1915
2) – Incontro con la Deledda, Il Resto del Carlino 5 gennaio 1943.
3) – Nel decimo anniversario della morte di Sebastiano Satta, Giornale d’Italia, 28 novembre 1924

REMO BRANCA E LA “BIBLIOGRAFIA DELEDDIANA”

bibliografia deleddiana copertina 079  Remo Branca (Sassari 1897 – Roma 1988), artista, scrittore e critico cinematografico, frequentò la scrittrice Grazia Deledda con la quale intrattenne un solido rapporto d’amicizia. Grande conoscitore della Deledda, Branca, nel 1938, due anni dopo la morte della scrittrice, pubblicò il volume “Bibliografia Deleddiana” per le edizioni “L’Eroica” di Milano.
Il volume, oltre a rappresentare un vero atto di venerazione di Remo Branca verso Grazia Deledda, analizza in maniera puntigliosa tutti i lavori della scrittrice (“350 novelle … 30 racconti … 8 fiabe … poco più di 15 bozzetti … 35 romanzi”), fornendo una bibliografia esaustiva, arricchita da un’appendice che raccoglie l’elenco completo (oltre 250 scritti) delle recensioni che, a partire dalla prima del 1889, furono dedicate alle opere della Deledda.
bibliografia deleddiana ritratto 1890bibliografia deleddiana ritratto BrancaIl volume (la copia in mio possesso riporta la dedica autografa di Branca a Ugo Ojetti) contiene la riproduzione di una stampa del 1890, che costituisce il primo ritratto (bruttino) pubblicato della scrittrice, e un disegno di Branca (bruttino anche questo) che mostra la Deledda quando aveva 65 anni. Nel libro sono intercalate, inoltre, alcune tavole con disegni di Remo Branca raffiguranti importanti luoghi deleddiani legati a Nuoro e ad alcune località dell’interno della Sardegna che hanno inciso fortemente nell’ambientazione dei romanzi della scrittrice.
Eccoli questi disegni, riprodotti con le didascalie descrittive compilate da Branca per meglio comprendere i luoghi e il peso che questi hanno avuto nell’ispirare la vena narrativa di Grazia Deledda.

bibliografia deleddiana copertina 081bibliografia deleddiana copertina 082bibliografia deleddiana copertina 083bibliografia deleddiana copertina 084bibliografia deleddiana copertina 085bibliografia deleddiana copertina 086bibliografia deleddiana copertina 087

NUORO: ATENE DELLA SARDEGNA

Leopoldo Carta (1878-1932), originario di Nuoro, era laureato in scienze economiche anche se la sua attività era più orientata verso la scrittura e il giornalismo. Fu anche drammaturgo e a lui si devono i testi della tragedia lirica “Ghismonda”, musicata da Renzo Bianchi e rappresentata per la prima volta a Roma nel giugno del 1917.
bisi il regalo di nozze 134Tra le altre cose Carta scrisse anche “Il regalo di nozze”, una raccolta di novelle sarde pubblicata dalla Casa Editrice Cadde di Milano nel 1922, con una bella copertina illustrata a colori da Carlo Bisi.
Come giornalista Leopoldo Carta collaborò con diverse testate tra cui la “Piemontese” , la “Nuova Sardegna”, “L’Unione Sarda” e, infine, “Il Popolo d’Italia”.
Sul numero 6 di giugno 1910 della rivista “Il Secolo XX” pubblicata dai Fratelli Treves, esce un articolo di Carta, definito “giornalista e letterato di bell’avvenire”, dal titolo “L’Atene della Sardegna”, dedicato a Nuoro e alla sua élite intellettuale.
il secolo xx  241La città è descritta con toni “pittoreschi” che cercano di ribaltare l’idea comune di Nuoro “zona delinquente”, facendo leva soprattutto sulle figure di Grazia Deledda, di Sebastiano Satta, di Antonio Ballero e di Francesco Ciusa, massimi rappresentanti della cultura nuorese e non solo. Di Ballero e Ciusa sono raffigurate, rispettivamente, le opere “Sa ria” e “La madre dell’ucciso”, mentre di Satta e riportata la poesia “La Greggia”.
I quattro “illustri nuoresi” sono anche raffigurati in altrettanti ritratti. E mentre Satta, Ciusa e Ballero sono resi con attendibile somiglianza, Grazia Deledda appare alquanto “romanzata” in un ritratto dove l’autore, con il probabile intento di addolcirne i tratti, finisce per ritrarre una persona che solo vagamente assomiglia alla grande scrittrice.
L’articolo è corredato anche da alcune foto nuoresi e da una foto che ritrae un gruppo di oranesi in costume, definiti dalla didascalia come “testimoni di Orani davanti al palazzo dell’Assise”.
Un articolo che, nonostante l’eccesso di toni leziosi e idilliaci, risulta comunque interessante per la convinta esaltazione dei “fervidi ingegni” nuoresi che traspare dallo scritto di  Carta e per certe testimonianze e accenni alla vita da paesone che caratterizzavano la Nuoro di inizi ‘900.

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La festa di Gonare in un brano di Grazia Deledda

Cumbessias e santuario in una foto dei primi del '900

Cumbessias e santuario in una foto dei primi del ‘900

“I venditori ambulanti vigilavano le loro mercanzie di latta, e gridavano i prezzi e lanciavano scherzi grossolani alle ragazze che passavano; donne di Tonara, strette fasciate in un ruvido costume, insensibili al sole e ai rumori della folla, misuravano nocciuole o segavano e vendevano i loro torroni bianchi che si scioglievano al caldo.

Sotto capanne di frasche i negozianti esponevano le loro stoffe d’occasione; lo scarlatto sanguinava al sole, i broccati scintillavano; tutta una flora inverosimile sbocciava sui fazzoletti e gli scialli paesani.

E intorno alle botti e alle bottiglie dei liquori si accalcavano comitive d’uomini, di amici nuovi e d’amici vecchi incontratisi per caso lassù, e fra i quali spiccava con bizzarro contrasto la figura di qualche borghese. E il vino e i liquori rallegravano l’anima dei fieri paesani: e l’acquavite odorava con un profumo di fiore fatale.

Maria e le compagne mangiarono e poi indossarono la tunica e si avviarono nuovamente verso la chiesa.

Il sentiero s’allargava, aspro, a scalinata, quasi tutto tagliato sulla roccia, fra massi enormi e macchie e alberi sempre più selvaggi e contorti. I costumi colorati delle donne sfolgoravano sullo sfondo luminoso della salita; le voci si perdevano nel silenzio puro delle cime incoronate d’azzurro.”

Tratto da La via del male, Torino, Speirani e Figli, 1896

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La cartolina, edita da S.Porca di Sassari verso il 1910, Mostra le carovane che si radunavano presso il santuario della Madonna di Gonare, per la novena e per la festa dell’otto settembre.
Lo scorcio della foto mostra il tratto di strada che porta dal piazzale delle cumbessias verso la ex colonia