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Gavino Cherchi: scrittore e partigiano

Parma, Via Gavino Cherchi

C’è una strada, via Gavino Cherchi, situata nella periferia di Parma, nella zona del Parco del Naviglio, dedicata al giovane intellettuale e giornalista nato a Ittireddu in provincia di Sassari il 15 agosto 1911.  Dopo aver insegnato in varie città della penisola, si stabilì a Parma dove fu docente di  Lettere e Filosofia presso il liceo classico Romagnosi.

Nel 1941 la casa editrice Guanda pubblicò il suo primo e, purtroppo, unico romanzo “Cuore di donna”: la passione letteraria di Gavino Cherchi, infatti, fu ben presto sovrastata dalle scelte di vita che, visto il periodo storico, si trovò a dover affrontare. Dopo l’8 settembre 1943 Gavino decise di aderire alle formazioni partigiane con il nome di battaglia “Stella”. Da subito ricoprì il ruolo di responsabile del SIP (Servizio Informazioni Partigiano) di Parma  ed ebbe l’incarico, fra l’altro, di controllare gli spostamenti delle truppe tedesche e segnalarli alle brigate partigiane. Rivestiva, pertanto, un ruolo estremamente delicato che lo esponeva a enormi rischi che, alla fine, si riveleranno fatali. Il 5 marzo del 1945, infatti, a seguito di una delazione, venne arrestato dalla polizia tedesca. Senza subire alcun tipo di processo, il 28 marzo, dopo tre settimane di prigionia e sevizie, a Casalmaggiore sulle rive del Po, venne ucciso a raffiche di mitra assieme ai partigiani Ines Bedeschi e Alceste Benoldi. I corpi dei tre, gettati nel fiume, non sono mai stati ritrovati.

Gavino Cherchi

Una storia triste per un apprezzato giovane intellettuale che avrebbe potuto dare un prezioso contributo al mondo della cultura e dell’insegnamento.

Il cippo in memoria dei tre partigiani uccisi dai tedeschi

Di lui rimane il nome su una targa che indica una via periferica di Parma e il nome su un cippo nel punto dove venne fucilato. Rimane, però, anche il ricordo da parte dei familiari e dei tanti che non hanno voluto mai dimenticare e che periodicamente ricordano la figura e l’opera di Gavino Cherchi: gli studenti del liceo Romagnosi di Parma, che hanno svolto importanti ricerche affinché il suo ricordo non andasse disperso, il circolo dei sardi di Parma che ne ha sempre mantenuto viva la memoria, la compagnia Theatre en Vol, fondata da Puccio Savioli e da Michelle Kramers, che dal 2015 mette in scena lo spettacolo “Il Vento, storia di Gavino e di altri dispersi”, tratto dal saggio “Il viaggio più lungo” di Gavina Cherchi, nipote del partigiano ucciso e, non ultimi, i familiari di Gavino Cherchi che mai hanno smesso di ricordarlo e onorarlo, in Sardegna e fuori dall’Isola.

Copertina

Scrivo queste considerazioni avendo tra le mani “Cuore di donna” che ho acquistato in una libreria di libri usati.

E’ un libro che si presenta bene grazie alla grafica della copertina, illustrata da Cagnolati (autore anche delle illustrazioni interne), che rappresenta il mondo della scuola ben conosciuto da Gavino Cherchi. 

La prefazione al libro è a cura di Lanfranco Fava (1911-1979 ), autore di diverse pubblicazioni, soprattutto di poesie,  coetaneo e amico di Cherchi, con il quale condivideva la passione per le lettere e per la lotta antifascista, visto che anche Fava fu tra i primi ad entrare in clandestinità con le formazioni partigiane.

Illustrazione interna

Cuore di donna” è un romanzo in perfetta sintonia con quella che era la narrativa del tempo. Una storia che si svolge fra Parma e Piacenza dove, come scriveva Manlio Brigaglia su La Nuova Sardegna del 3 novembre 2005, “Elda, il personaggio principale, è mossa da nobili sentimenti che si scontrano con i luoghi comuni e l’immoralità della società borghese, da cui proviene Maurizio, il suo uomo, che dopo alterne vicende finirà col pagare, buttandosi nella guerra fascista, la sua insoddisfazione della vita e la sua amoralità”.

Un libro mai più edito e quindi non facile da reperire che son ben lieto sia entrato a far parte della mia collezione di autori sardi. Un volume che va oltre i contenuti dello scritto e che, guardando alla breve vita dell’autore, rimanda a  tematiche da tenere sempre ben presenti, soprattutto in questi tempi bui, nei quali l’esercizio del ricordo e della memoria sembrano attività difficili da praticare.

Quando facevamo “Veleno”

veleno 01VELENO COPERTINA 1VELENO COPERTINA 21980. Ennio Bazzoni, che ora svolge le funzioni di Direttore Editoriale della Casa Editrice Nardini, aveva già il pallino dell’editoria. Fu lui, radicale convinto, che mi parlò di “Veleno”, periodico libertario in fase di gestazione. Mi disse: “perché non ci dai le tue vignette da pubblicare”.
Fu così che partecipai alle riunioni di redazione dove veniva discussa “la linea” da veleno 02dare alla rivista. Di quelle riunioni ho ritrovato un vecchio taccuino con schizzi a matita e a penna che ritraggono alcuni dei protagonisti di quell’esperienza: Emilio, Milena, Vincenzo, Rossana, Massimo, Antonio e altri.
Il primo numero di “Veleno” (ancora in attesa di registrazione) uscì a dicembre del 1980. Direttore responsabile, che prestava la sua firma, era il mitico Pio Baldelli, docente di Storia del Cinema a Magistero e già direttore di Lotta Continua nei primi anni Settanta, ai tempi del veleno 03processo contro Valpreda. In prima pagina una bella veleno 05intervista a Leonardo Sciascia sul Caso Moro e, a piè di pagina, una delle mie strisce della serie “AUT.OP.”, che avevano come personaggi una serie di sfigati, reduci dai movimenti studenteschi del ’77, e che prendevano di mira le granitiche convinzioni dell’ala movimentista della sinistra estrema.
I personaggi di “AUT.OP.” erano nati come striscia che avevo proposto al quotidiano La Città, che allora si stampava a Firenze, e che la redazione aveva rifiutato temendo ritorsioni da quel movimento un po’ estremista, legato all’autonomia operaia.

Sta di fatto che le vignette di “AUT.OP.” furono pubblicate sul primo numero di “Veleno” e non ci fu nessuna ritorsione … forse perche il giornale venne diffuso in poche decine di copie, visto che le capacità distributive del gruppoVELENO DI MEREU non erano proprio tra le migliori. Ricordo che in tutto il centro storico di Firenze “Veleno” si trovava solo nell’edicola di Via dei Servi, gestita da un amico di qualcuno della redazione.
Con il secondo numero, uscito a gennaio del 1981 la mia collaborazione diventò “strutturata” con, addirittura, una pagina intera (“Il Veleno di Mereu”) dedicata alle mie vignette che, in quel caso, prendevano di mira l’allora presidente del consiglio Arnaldo Forlani. Di quel numero ideai anche la copertina, con una bottiglia che conteneva la testata “Veleno”, stillato a piccole gocce a formare il fondo bianco che conteneva il sommario del giornale.
Nell’interno un articolo di Pio Baldelli sulla stampa e l’informazione e un intervista a Giuliano Zincone, direttore del quotidiano Il Lavoro di Genova. Tra gli altri anche un articolo di Ennio Bazzoni sui pastori sardi
Il terzo numero, che doveva essere dedicato al problema della casa, non vide mai la luce e tra i miei schizzi rimane quello della copertina, caratterizzata da una selva di gru che si stagliavano sul fondo nero.
Quella di “Veleno” fu un’esperienza brevissima, fatta di due numeri pubblicati e di una decina di riunioni dove, in maniera animata e spesso contrastata, un gruppo di giovani cercava di dare un piccolo contributo per un mondo migliore. Forse non ci siamo riusciti, ma di quell’esperienza rimangono in piedi sicuramente delle belle amicizie e un ricordo tutto sommato positivo.veleno 04