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Il Regno segreto. Sardegna e Piemonte: una visione postcoloniale

 

Il MAN di Nuoro, a cura di Luca Scarlini, ospita sino al prossimo 15 novembre, la mostra “Il regno segreto. Sardegna e Piemonte una visione postcoloniale” (Catalogo MAN/Ilisso), un’esposizione che indaga gli ultimi trecento anni di rapporti culturali tra Sardegna e Piemonte.

il regno segreto (6)In quest’anno 2020 ricorre, infatti, il trecentesimo anniversario di quanto stabilito dal trattato di Utrecht del 1720, quando il duca Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne la corona del Regno di Sardegna. Iniziarono da allora quegli stretti rapporti che, nel bene e nel male, portarono la Sardegna ad essere indissolubilmente legata al Piemonte.

I rapporti non furono mai idilliaci, soprattutto per il fatto che la Sardegna non sempre era amministrata con attenzione e coinvolgimento, ma alla stregua di una colonia dove tutte le cariche amministrative, ad esempio, erano riservate a soggetti non sardi.

Tale atteggiamento portò anche a momenti di forte tensione tra Sardegna e Piemonte, come successe nella cosiddetta sommossa dei vespri sardi del 28 aprile 1794 che portò all’espulsione da Cagliari del viceré Vincenzo Balbiano e di tutti i funzionari sabaudi, in seguito al rifiuto di soddisfare la richiesta di riservare ai sardi le cariche pubbliche.

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Prima pagina di “Barones sa tirannia” in una edizione della fine del ‘700

D’altronde, se pensiamo alla canzone “Su patriottu Sardu a sos feudatarios”, conosciuta come “Procurad’ e moderare”, ci si rende conto di come erano visti allora i piemontesi e il governo sabaudo in Sardegna.
Una strofa recita:

Sos disculos nos mandana / Pro castigu e curressione, / Cun paga e cun pensione / Cun impleu e cun patente; / In Moscovia tale zente / Si mandat a sa Siberia / Pro chi morzat de miseria, / Però non pro guvernare
(Ci mandano i peggiori / per castigo e pena, / con salario e pensione, / con impiego e con patente. / A Mosca gente simile / La mandano in Siberia, / ma per farla morire di miseria, / non per governare )

La cacciata del viceré fu comunque un evento rivoluzionario, senza spargimento di sangue, ancora oggi ricordato, visto che una delibera della Regione del 1993 ha individuato proprio nel 28 aprile “sa die de sa Sardigna”, un giorno di festa da dedicare alla Sardegna.

Quello tra Piemonte e Sardegna, dunque, è stato un rapporto caratterizzato negli anni da momenti di aperture con riforme civili e sociali, e da momenti di interventi burocratici e repressivi non sempre accettati dai Sardi.

Basti pensare al famigerato “editto delle chiudende” emanato nel 1820 (altro anniversario che ricorre quest’anno) attraverso il quale l’autorità consentì la creazione di vaste proprietà private cancellando, di fatto, il sistema della proprietà collettiva dei terreni, che da sempre costituiva una delle principali caratteristiche della cultura e dell’economia agro/pastorale sarda.

Questo decreto è considerato dagli storici una delle principali cause di tutti i fenomeni di ribellione che dal 1820 hanno caratterizzato periodicamente la Sardegna e, se da un lato ha dato origine al cosiddetto banditismo sardo che ha funestato l’isola per oltre 100 anni, dall’altro ha portato una schiera di politici e intellettuali sardi, a partire dal politico Giorgio Asproni (1808-1876), a parlare apertamente di “colonialismo”.

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Gramsci in una caricatura di Piero Ciuffo “CIP” (1921)

Lo stesso Gramsci non esitò a definire quello della classe borghese di Torino uno “sfruttamento coloniale della Sardegna”, forte del fatto che tutte le attività imprenditoriali piemontesi (minerarie, agricole, ecc.) che operavano nell’Isola avevano la sede centrale fuori dalla Sardegna. E a proposito di Gramsci, che da sardo dovette convivere a lungo con Torino, occorre ricordare una figura come quella del suo amico Piero Ciuffo (Cagliari 1891 – Genova 1956), grafico e caricaturista, che ebbe un ruolo fondamentale nell’introdurre Gramsci negli ambienti degli operai sardi che lavoravano a Torino.

Ciuffo (che firmava i suoi disegni come CIP) collaborò, a Torino, con L’Ordine Nuovo, giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1919, ed è famoso per le caricature realizzate durante il congresso di Livorno del 1921, quando il partito socialista si divise e venne fondato il partito comunista. Antifascista da sempre, Ciuffo, che aveva deciso di fare politica con la satira, subì condanne e violenze a causa dei suoi disegni attraverso i quali mai smise di attaccare il regime e i suoi uomini più in vista.

Ma se il rapporto tra Sardegna e Piemonte nei secoli non è mai stato idilliaco, e nel migliore dei casi è stato vissuto con indifferente distacco, appare tuttavia caratterizzato da interessanti momenti di scambio per quanto riguarda l’ambito delle arti e della cultura. Si tratta quasi sempre di scambi a senso unico, con artisti e intellettuali sardi che riescono a emergere e ad affermarsi in Piemonte, grazie al fatto che fuori dalla Sardegna trovano imprese tipografiche ed editoriali in grado di soddisfare esigenze letterarie ed artistiche.

E’ il caso, ad esempio, dell’intellettuale Pasquale Tola che a Torino, tra il 1837 e il 1838, diede alle stampe i tre volumi del “Dizionario Biografico degli uomini illustri di Sardegna”, corredato da ben 60 ritratti litografici di sardi famosi eseguiti, come riporta lo stesso Tola nella prefazione, “dall’egregio giovane Salvatore Sini di Orani e dal sig. Luigi Aspetti di Firenze”.

Scarse o nulle notizie ci sono giunte sul litografo Salvatore Sini, se non il fatto che esercitava con maestria la sua arte a Torino. Notizie certe e più compiute sono quelle che riguardano Carlo Chessa (Cagliari 1855 – Torino 1912), artista e incisore che, una volta lasciata la Sardegna, si affermò in Italia e all’estero come abile illustratore. Chessa si trasferì a Torino nel 1879, dove frequentò l’Accademia Albertina, ritrovandosi proiettato in un ambiente caratterizzato da movimenti politici e letterari d’avanguardia.

Grazie anche al fatto che il Regno di Sardegna non aveva reintrodotto la censura sulla stampa dopo i moti del 1848, Torino era diventata il centro di sviluppo dell’opinione pubblica, spodestando in ciò Milano e Firenze, ed aveva creato le condizioni affinché l’editoria assumesse quelle caratteristiche che dovevano portarla a diventare una vera e propria industria culturale.

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Salvatore Farina in uno schizzo a penna di Carlo Chessa

In questo ambiente Chessa inizia a collaborare con l’Illustrazione italiana, col Pasquino e con altre importanti riviste. Realizza le illustrazioni per il volume “Medusa” di Arturo Graf ed è probabile che stringa in questo periodo rapporti d’amicizia con lo scrittore sardo Salvatore Farina, oggi quasi dimenticato ma allora, a fine ‘800, protagonista indiscusso della vita letteraria e culturale tra Torino e Milano. È verosimile anche che Farina possa aver fatto da tramite con l’amico Giuseppe Giacosa per affidare proprio a Chessa l’esecuzione delle splendide illustrazioni a corredo del volume “Castelli Valdostani e Canavesi” pubblicato dall’editore Roux Frassati e C. di Torino nel 1897.

Una volta stabilitosi a Torino, Chessa avrà pochissimi contatti con la Sardegna. Metterà, invece, solide radici in Piemonte, sposando la pittrice Luisa Carelli e dando origine a una generazione di artisti, con il figlio Gigi (1898-1935) e con il nipote Mauro (1933), che hanno fortemente segnato il percorso delle avanguardie artistiche italiane del ‘900.

La città di Torino, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, registrò una proliferazione senza precedenti in campo artistico, letterario, associativo, musicale e teatrale, conferendo alla città un’apertura e una vitalità che fino ad allora le erano in buona misura mancate.

Case editrici da tempo esistenti, come la Paravia, o di nuova costituzione, come la S.E.I., trassero grandi vantaggi dalla favorevole situazione e svilupparono fortemente le pubblicazioni scolastiche o a carattere pedagogico.

In tale ambiente iniziarono la loro collaborazione illustratori e artisti come Edina Altara (Sassari 1898 – Lanusei 1983), Pino Melis (Bosa 1902 – Roma 1985) e Beppe Porcheddu (Torino 1898 – 1947) che, diversamente da Chessa, mantennero sempre stretti rapporti con la Sardegna.

Edina Altara, da sola o in coppia con il marito Vittorio Accornero (Max Ninon), illustrò una quindicina di libri per l’infanzia editi dalla Paravia nell’arco di una collaborazione che durò per oltre trent’anni.

Pino Melis collaborò assiduamente con la S.E.I., casa editrice originariamente fondata da Don Bosco, illustrando, con il suo tratto leggero e poetico, una serie di volumi destinati all’infanzia.

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Beppe Porcheddu, copertina per “Avventure del Barone di Munchhausen” – Paravia, 1934

Beppe Porcheddu, figlio di un ingegnere originario di Ittiri che in Piemonte aveva installato un’attività per la produzione di conglomerati in cemento, ebbe un’attività grafica intensissima che lo portò a innumerevoli collaborazioni con editori piemontesi e non. La sua collaborazione con la casa editrice De Agostini di Novara gli permise di illustrare numerosi libri, soprattutto romanzi, come, ad esempio, Angelo di Bontà di Ippolito Nievo o Colomba di Prosper Mérimée. Per modernità e concezione sono ancora oggi sorprendenti le illustrazioni realizzate da Porcheddu nel 1934 per Le avventure del barone di Munchausen di Rudolf Erich Raspe, pubblicato da Paravia. Su Porcheddu, misteriosamente scomparso nel nulla nel 1947, rimane il rimpianto per una carriera stroncata in un momento di grande successo che molto ancora avrebbe potuto dare al mondo dell’arte e della grafica.

La carrellata sui sardi che hanno contribuito a creare rapporti e legami artistici tra Sardegna e Piemonte potrebbe continuare con altri importanti nomi come Aligi Sassu, Tarquinio Sini, Giovanni Manca, Anna Marongiu o Enrico Gianeri (GEC). Mi limito e concludo ricordando solo due grandi artisti sardi che proprio dal Piemonte hanno spiccato il volo per una carriera artistica che li ha portati ad essere famosi nel mondo: si tratta di Costantino Nivola (Orani 1911 – Long Island 1988) e di Giovanni Pintori (Tresnuraghes 1912 – Milano 1999).

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Costantino Nivola, copertina per “Interiors”, 1948

Nivola e Pintori (unitamente a Salvatore Fancello), grazie a una borsa di studio, si iscrissero all’ISIA di Monza, l’istituto Superiore per le Industrie Artistiche. Da questa esperienza maturò il percorso artistico che portò prima Nivola e poi Pintori, come designers, all’interno della Olivetti, permettendo loro di raggiungere livelli di fama internazionale.

Nivola, sposato con Ruth Guggenheim di origine ebraica, costretto a rifugiarsi prima a Parigi e poi in America per evitare le persecuzioni razziali, è considerato uno dei principali nomi dell’arte contemporanea del ‘900.

Il periodo alla Olivetti si dimostrò fondamentale per Nivola che, grazie all’esperienza acquisita divenne apprezzato designer e direttore artistico di importanti riviste americane.

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Giovanni Pintori, copertina per il volume celebrativo dei 50 anni Olivetti, 1958

Pintori, subentrato a Nivola nell’incarico alla Olivetti, ha mantenuto quel ruolo sino al 1967 ed è stato la mente di tutte le principali campagne pubblicitarie della Casa di Ivrea. Per il prestigio raggiunto è considerato uno dei designers più influenti del ventesimo secolo.

Due storie, quelle di Nivola e Pintori, che sono la perfetta testimonianza e sintesi dei tanti contributi che i sardi hanno fornito allo sviluppo dei rapporti tra Sardegna e Piemonte. Due storie tra le tante, fatte di eccellenze, che hanno avuto origine in Sardegna e che toccando altri luoghi, altre culture, hanno avuto la possibilità di crescere e di affermarsi, così come è giusto che sia quando le idee hanno la libertà di potersi muovere e confrontare, senza barriere, senza pregiudizi e senza “colonialismi”, culturali o economici che siano: e questo vale per la Sardegna, per il Piemonte e per qualsiasi angolo del mondo, per quanto piccolo o recondito sia.

Angelino Mereu

Antonino Pirari, pittore di Nuoro

Ho recentemente acquistato due cartoline. La prima cartolina riproduce il quadro “Venerdì santo” del pittore nuorese Antonino Pirari (1893-1957) e risulta viaggiata da Sassari per Roma nel 1935. La seconda cartolina è viaggiata nel 1902 e riproduce un contadino di Nuoro intento a smuovere un covone. Questa cartolina, oltre alla scritta “proprietà privata”, non riporta alcuna indicazione sull’editore o sull’autore della foto.

Appare singolare, però, che la cartolina del contadino ricordi tantissimo il quadro “Il covone” che proprio Pirari presentò alla Biennale di Venezia nel 1920 e la copertina che l’artista nuorese realizzò per il numero 17 dell’ottobre 1921 de “Il giornalino della Domenica” fondato da Vamba e diretto da Giuseppe Fanciulli.
In quel numero de “Il giornalino”, Fanciulli parla di Pirari in questi termini: “ … Antonino Pirari, giovane ed eccellente pittore di Nuoro, che, quasi ragazzo, illustrò per il Giornalino, nel 1911, una novella di Grazia Deledda, e da allora sempre conserva la più viva simpatia per queste pagine … La composizione riprodotta nella copertina, con una magnifica tricromia, rappresenta un Contadino di Nuoro sull’aia, nell’atto di raccogliere il grano con la pala; la forte figura dal vivido costume è circonfusa di sole, in un’immensità di silenzio ardente”.

Può darsi che si tratti di una semplice coincidenza, ma è probabile che Antonino Pirari abbia avuto per le mani la cartolina del contadino e che a questa si sia ispirato. Occorre tener presente, inoltre, che dai Pirari la fotografia era di casa, visto che il fratello di Antonino, Piero Pirari (1886-1972), ha legato il suo nome all’attività di fotografo, tanto che un fondo di sue foto dei primi del ‘900 è raccolto presso l’Istituto Etnografico della Sardegna.

Il viaggio, Marisa e la vigna

Viaggiare, oggi, è molto semplice. Mezzi e trasporti sono in grado di condurci rapidamente nei luoghi più remoti e, se uno si accontenta del viaggio “virtuale”, oggi con telefonini, computer e tecnologie varie, è possibile spostarsi in un nanosecondo in qualsiasi punto del globo terracqueo.

Fino a qualche anno fa spostarsi era un po’ più complicato, e anche distanze che oggi sembrano risibili apparivano lontane e complicate da raggiungere.

Lo spostarsi dalla Sardegna verso il continente, ad esempio, dava l’impressione del “viaggio lungo” e richiedeva una preparazione, soprattutto “mentale”, per coordinare i tempi e le coincidenze dei mezzi di trasporto con i tempi e i ritmi delle persone destinate al “distacco”.

Si, proprio il “distacco”, perché questo voleva dire lasciare la Sardegna per altri lidi.

Io nel 1975 lasciai la Sardegna per andare a studiare a Firenze. Avevo 19 anni e, di fatto, se si esclude una gita scolastica, era la prima volta che lasciavo l’isola.

Ricordo un pomeriggio col magone a salutare amici e parenti, a “mi dispedire”, così come facevano normalmente quelli che, armati di valigia, emigravano in Germania o in Francia.

Il primo “distacco”, dunque, era quello dal paese e dagli affetti più cari.

La seconda tappa era l’approdo a Nuoro da dove, alle 20.00, partiva la “Freccia” dell’allora SATAS che collegava direttamente la città con il porto di Olbia. Si salutavano i parenti che ti avevano accompagnato sin lì e il pullman partiva. Ancora non esisteva la superstrada a quattro corsie e, così, dopo aver superato la chiesa della Solitudine, il mezzo affrontava il tortuoso discendere della strada di Marreri, ricavata sul dorso ondulato delle pendici del monte Orthobene.

In quei pochi chilometri di strada, prima ancora di arrivare a Olbia, prima ancora di salpare verso il mare aperto,  avveniva il vero “distacco”, iniziava quel viaggio “mentale” che ti portava a entrare in altre dimensioni non più sarde.

La prima volta che partii era una grigia serata di novembre; mentre il pullman scendeva lentamente da Marreri, ero assorto nei miei pensieri quando, dopo una curva a gomito, nel grigiore generale, nel bel mezzo di una vigna, i fari illuminarono una sagoma colorata.

Era una Marisa Sannia di cartone, a grandezza naturale, che pubblicizzava una nota marca di caramelle.

Una Sannia con un vestito coloratissimo (come d’altronde lo erano le caramelle pubblicizzate) che spiccava nel buio della sera, tra i monotoni colori dell’autunno. Una Sannia che, con il suo sorriso e la sua mano alzata, in mezzo a una vigna deserta mandava un saluto sereno ai viaggiatori che sapevano coglierlo.

Quell’immagine mi ha accompagnato per tanto tempo e ogni volta che ripassavo per la strada di Marreri andavo a cercare quella figura diventata in qualche modo un riferimento rassicurante, tanto che ancora oggi, quando mi capita di percorrere quella strada, lo sguardo corre a cercare Marisa tra le viti della vigna. E se anche la sagoma cartonata non c’è più, nel mio viaggio “mentale” quella Marisa Sannia rimarrà sempre lì, colorata e sorridente.

 

Il 15 ottobre Marisa Sannia sarà la protagonista dello spettacolo “Con passo leggero”, di e con Maria Grazia Campus e Gianna Deidda, che sarà rappresentato al Teatro della Compagnia di Firenze. Una serata eccezionale per ricordare una grande Artista, la sua musica, la sua poesia, le sue canzoni.

Nuoro in un sonetto

enrico costa 288Nel 1895 Enrico Costa (1841-1909), scrittore e giornalista sassarese, pubblicò due volumi che raccoglievano i suoi diversi componimenti poetici apparsi su giornali e riviste o già editi in altre pubblicazioni.
I due volumi, intitolati “In Autunno” e pubblicati dall’editore Giuseppe Dessì di Sassari nella collana “Biblioteca Sarda”, erano caratterizzati da una copertina con motivi sardi illustrata da Arthemalle, autore attivo in Sardegna che nel 1894, sempre per Dessì, aveva già illustrato i “Racconti Sardi” di Grazia Deledda.
Nel primo volume sono raccolte una serie di composizioni fra cui alcuni sonetti dedicati a dodici città sarde. Costa, che li definisce “12 vignette all’acqua forte”, pone l’accento, con toni satirici e sarcastici, su aspetti caratteristici delle singole città.
in autunno costa 286I sonetti, composti dopo un giro effettuato dall’Autore per tutta l’isola e pubblicati come “taccuino di un viaggiatore” per la prima volta nel 1882 nel giornale Serate letterarie di Cagliari, vennero successivamente riproposti su L’Avvenire di Sardegna.
La messa in caricatura delle città non fu sempre ben accolta e allo scrittore vennero mosse numerose critiche che, come scrisse Costa stesso, “mi attirarono addosso un mondo di chiacchiere, di malumori e di fastidi”.
Ogni sonetto è dedicato a un personaggio della città in questione e quello sulla città di Nuoro, ad esempio, è dedicato a Sebastiano Satta.

Ma eccolo il sonetto su Nuoro:

Figlia de la montagna, e madre amata
Di figli irrequieti e turbolenti,
In balia di sé stessa è abbandonata
La città de le lotte e dei lamenti

Ha vini che stramazzano un beone,
Ed uomini più forti assai del vino;
A lei donò il Governo una Prigione
E la natura un sasso ballerino.

Amor fornì le donne d’un corsetto,
Che chiuder finge, e provoca all’uscita
I due tesori del ricolmo petto

Sarei per essi un grassator crudele,
Pronto al ricatto, e a rinunziar per vita
Al vin d’Oliena, all’aranciata e al miele!

Costa non manca di citare quelle che dovevano essere le “attrazioni” di Nuoro alla fine dell’Ottocento: la prigione governativa, la famosa “Rotonda” che dominava l’abitato, la pietra ballerina che, però, come scrive lo stesso Costa “da pochi anni non balla più: forse perché disgustata dai mille tormentatori che le ponevano le mani addosso” e l’”aranciata”, il tipico dolce nuorese a base di scorze d’arancia candite nel miele.

Costa, poi, sottolinea con i suoi versi quanto sia rimasto colpito dal petto provocante delle nuoresi, al punto che per tanto ben di Dio sarebbe stato disposto a rinunciare al vino di Oliena e persino a vestire i panni del grassatore.

A leggerlo oggi il sonetto mostra una qualche attualità, soprattutto nella prima quartina che sottolinea turbolenze, lotte e lamenti: tutta “merce” che a Nuoro non è mai scarseggiata!

Grazia e Bustianu

Dino Provenzal

Dino Provenzal

Dino Provenzal (1877-1972), che Giovanni Papini definì “Uomo colto, curioso, pronto, arguto, affettuoso ma corrosivo”, era nato a Livorno. Iniziò a scrivere giovanissimo, con uno stile versatile, tendente a un garbato umorismo che lo avvicinava più alla tradizione anglosassone che non a quella mediterranea. Svolse a lungo l’attività di insegnante in tantissime scuole, in lungo e in largo per la penisola, e si stabilì poi definitivamente a Voghera negli anni ’30.

Nel 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, a causa delle sue origini ebraiche, venne escluso dall’insegnamento e dovette nascondersi per sfuggire alla deportazione (il fratello Federico morì ad Auschwitz).
dizionario delle voci 206Provenzal, con l’editore Hoepli di Milano, pubblicò una serie di volumi, caratterizzati da un modo di scrivere gradevole e suggestivo, nei quali gli argomenti erano disposti in ordine alfabetico (Dizionario delle immagini, Dizionario umoristico, ecc.). Tra questi volumi rientra anche il “Dizionario delle voci”, edito nel 1956, una sorta di “catalogo” delle voci (537 pagine) nel quale, attingendo a testimonianze o a memorie scritte, Provenzal tratta di “come parlavano, voce, gesto, loquacità, taciturnità, eloquenza, […] centinaia di uomini e donne d’ogni tempo e d’ogni nazione”.
È un volume piacevole da leggere, ricco di aneddoti e curiosità e tra le centinaia di personaggi esaminati ci sono anche Grazia Deledda e Sebastiano Satta.

Grazia Deeledda e Sebastiano Satta ritratti nel 1910 (da Il Secolo XX n.6, 1910)

Grazia Deledda e Sebastiano Satta ritratti nel 1910 (da Il Secolo XX n.6, 1910)

La Deledda è così descritta da Provenzal: “scrittrice feconda e di alto valore, premio Nobel, fu invece parca nel discorrere e pareva trovar fatica ad esprimersi; ma seppe ascoltare e osservare; e la sua conversazione, pur così laconica, lasciava profonda impressione”.
A supporto di quanto affermato, Provenzal riporta le testimonianze degli scrittori Luigi Falchi e Luigi M.Personé, e della scrittrice e poetessa Mercede Mundula.
Falchi descrive “L’esil voce indistinta”(1) della scrittrice che, come conferma Personé, “parla piano, chiaro, con tono confidenziale, sforzandosi di trovare la parola e la frase che valgano a rendere integralmente il suo animo e il suo pensiero” (2). Mercede Mundula, in una testimonianza inedita raccolta da Provenzal, racconta di come una Deledda “Taciturna per indole e gusto, lo fu, col passar degli anni anche per abitudine … la voce bassa di tono, con la pronuncia stretta di alcune vocali aggiungeva al suo parlare qualcosa di grave e di chiuso”. Una grave solennità che, però, contrastava con la risata: “nulla era più limpido della sua risata né più schietto: un riso giovane e aperto, inatteso e sorprendente” che la Mundula definisce “una rosa nel granito”.
Ma se Grazia Deledda era di poche parole, ben diverso era il modo di presentarsi di Sebastiano Satta, “poeta, avvocato e oratore”. Provenzal raccoglie la testimonianza di Pietro Mastino (3) che così descrive il parlare del Satta: “la sua parola possente fluiva, non pareva più, la sua, la voce di un uomo: nell’aula, bello e terribile, solo egli dominava e fiammeggiava, col gesto ampio e solenne in accordi di voce maschia, piena e sonora”.
Lavorando di fantasia mi viene da immaginare “Bustianu”, in piedi, che parla con la voce impostata e roboante di chi è abituato a frequentare le aule di giustizia, accompagnando il parlare con ampi gesti delle braccia. Grazia, seduta composta davanti a lui, segue il suo parlare con le mani sulle ginocchia in una posa “atavica semplice e solenne” caratterizzata dal “contrasto della impenetrabilità del volto, vivo ed eloquente” con gli “scuri occhi dal volgere lento, attenti, e soprattutto scrutatori”. E ogni tanto anche Grazia parla, un “parlare disadorno, di un’estrema semplicità … e le frasi dense rompevano il silenzio con tonfo di pietre”.

1) – Parlando al telefono con Grazia Deledda, in Nuova Antologia, ottobre 1915
2) – Incontro con la Deledda, Il Resto del Carlino 5 gennaio 1943.
3) – Nel decimo anniversario della morte di Sebastiano Satta, Giornale d’Italia, 28 novembre 1924

REMO BRANCA E LA “BIBLIOGRAFIA DELEDDIANA”

bibliografia deleddiana copertina 079  Remo Branca (Sassari 1897 – Roma 1988), artista, scrittore e critico cinematografico, frequentò la scrittrice Grazia Deledda con la quale intrattenne un solido rapporto d’amicizia. Grande conoscitore della Deledda, Branca, nel 1938, due anni dopo la morte della scrittrice, pubblicò il volume “Bibliografia Deleddiana” per le edizioni “L’Eroica” di Milano.
Il volume, oltre a rappresentare un vero atto di venerazione di Remo Branca verso Grazia Deledda, analizza in maniera puntigliosa tutti i lavori della scrittrice (“350 novelle … 30 racconti … 8 fiabe … poco più di 15 bozzetti … 35 romanzi”), fornendo una bibliografia esaustiva, arricchita da un’appendice che raccoglie l’elenco completo (oltre 250 scritti) delle recensioni che, a partire dalla prima del 1889, furono dedicate alle opere della Deledda.
bibliografia deleddiana ritratto 1890bibliografia deleddiana ritratto BrancaIl volume (la copia in mio possesso riporta la dedica autografa di Branca a Ugo Ojetti) contiene la riproduzione di una stampa del 1890, che costituisce il primo ritratto (bruttino) pubblicato della scrittrice, e un disegno di Branca (bruttino anche questo) che mostra la Deledda quando aveva 65 anni. Nel libro sono intercalate, inoltre, alcune tavole con disegni di Remo Branca raffiguranti importanti luoghi deleddiani legati a Nuoro e ad alcune località dell’interno della Sardegna che hanno inciso fortemente nell’ambientazione dei romanzi della scrittrice.
Eccoli questi disegni, riprodotti con le didascalie descrittive compilate da Branca per meglio comprendere i luoghi e il peso che questi hanno avuto nell’ispirare la vena narrativa di Grazia Deledda.

bibliografia deleddiana copertina 081bibliografia deleddiana copertina 082bibliografia deleddiana copertina 083bibliografia deleddiana copertina 084bibliografia deleddiana copertina 085bibliografia deleddiana copertina 086bibliografia deleddiana copertina 087

Quando il “regime” arrivò a Nuoro

copertina la rivistaIn un articolo apparso su “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” (Anno VI – n° 11, Novembre 1928), il giornalista Renzo Larco, che a guerra finita sarebbe diventato anche sindaco a La Maddalena, descrive i passi da gigante delle opere avviate dal regime, con particolare riferimento all’edilizia statale in Sardegna.
Nell’articolo grande spazio viene dedicato alla giovane provincia di Nuoro, “in cui – come scrive Larco – occorse di dovere provvedere ex-nov alle sedi di tutti i pubblici uffici”.
E’ noto – continua Larco – che la creazione d’una terza provincia in Sardegna fu giustificata da ragioni to-pografiche e di spiccato carattere economico. Imponente era il numero dei problemi di ogni specie che dovevano essere risolti nei paesi della zona centrale sarda. Preminente sugli altri — quello che richiedeva la più urgente soluzione — era il problema dell’acqua: si pensi che nel solo ex-circondario di Nuoro, sopra trentatre Comuni, due soli – quello d’ Orune e quello d’Onifai — avevano, all’atto della costituzione della Provincia, un acquedotto: ma – ironia — erano entrambi interrati…; quindi in definitiva nessun Comune aveva la fornitura d’acqua, che veniva attinta dai pozzi”.
A tale proposito Larco sottolinea come l’acquedotto di Nuoro sia stato costruito dopo solo un anno di lavori e come sia stata avviata la costruzione di quelli per Orani, Mamoiada e di molti altri paesi.
Soffermandosi su Nuoro città, Larco ricorda come fino a poco tempo prima il caseggiato più grandioso di Nuoro fosse quello delle carceri, cosa che portava i viaggiatori che capitavano a Nuoro a facili commenti di ironia.

palazzo impiegatiPer illustrare i tempi che cambiano, l’articolo è corredato da diverse foto di cui tre riguardano Nuoro. La prima foto è relativa al palazzo per gli impiegati statali, la seconda alle fasi di costruzione del caseggiato scolastico e la terza al nuovo scuole elementaripalazzo delle poste.
L’autore dell’articolo non si nasconde dietro un dito e afferma tranquillamente che “il fascismo ha ben capito che la veste di dignità portata dal caseggiato arioso e ben ideato e dal palazzo sontuoso, aggiunge palazzo posteprestigio e forza ad ogni manifestazione ed esercizio del potere”.
Questa logica spiega gli interventi massici registrati a Nuoro in quel periodo: la novella provincia usata quasi come laboratorio per dimostrare la forza e la potenza del regime. Il risultato sono una serie di edifici imponenti, spesso brutti, completamente avulsi da quella che era allora la realtà di Nuoro, realizzati quasi più per impressionare che per le funzioni a cui erano destinati.
Lo stesso Larco nell’articolo accenna a una velata critica quando scrive: “Oggi, se Dio vuole, v’è qualcosa di meglio che ferma l’attenzione e che desta particolare ammirazione in questa rupestre città aggrappata alle falde dell’ Ortobene; è il palazzo, tutto di duro macigno, delle Poste e dei Telegrafi, una costruzione che può anche non piacere a taluno per il suo stile, ma che sì impone a tutti per la mole. E’ sorto un bel palazzo destinato agli impiegati dello Stato. Vien sorgendo il caseggiato scolastico, ampio, ricco di locali e signorile, nel centro stesso di Nuoro”.
Valutando i risultati con il senno del poi, viene da pensare che forse era meglio se si evitavano certi “fasci-stissimi” interventi urbanistici che hanno inciso non poco sulla fisionomia di Nuoro. E viene da pensare che al peggio non c’è mai fine, visto che tutta una serie di interventi realizzati in tempi più o meno recenti (compresa la demolizione del vecchio carcere) hanno continuato l’opera iniziata dal fascismo ed hanno contribuito a depauperare un patrimonio architettonico e culturale, forse in maniera definitiva e non più recuperabile.

NUORO: ATENE DELLA SARDEGNA

Leopoldo Carta (1878-1932), originario di Nuoro, era laureato in scienze economiche anche se la sua attività era più orientata verso la scrittura e il giornalismo. Fu anche drammaturgo e a lui si devono i testi della tragedia lirica “Ghismonda”, musicata da Renzo Bianchi e rappresentata per la prima volta a Roma nel giugno del 1917.
bisi il regalo di nozze 134Tra le altre cose Carta scrisse anche “Il regalo di nozze”, una raccolta di novelle sarde pubblicata dalla Casa Editrice Cadde di Milano nel 1922, con una bella copertina illustrata a colori da Carlo Bisi.
Come giornalista Leopoldo Carta collaborò con diverse testate tra cui la “Piemontese” , la “Nuova Sardegna”, “L’Unione Sarda” e, infine, “Il Popolo d’Italia”.
Sul numero 6 di giugno 1910 della rivista “Il Secolo XX” pubblicata dai Fratelli Treves, esce un articolo di Carta, definito “giornalista e letterato di bell’avvenire”, dal titolo “L’Atene della Sardegna”, dedicato a Nuoro e alla sua élite intellettuale.
il secolo xx  241La città è descritta con toni “pittoreschi” che cercano di ribaltare l’idea comune di Nuoro “zona delinquente”, facendo leva soprattutto sulle figure di Grazia Deledda, di Sebastiano Satta, di Antonio Ballero e di Francesco Ciusa, massimi rappresentanti della cultura nuorese e non solo. Di Ballero e Ciusa sono raffigurate, rispettivamente, le opere “Sa ria” e “La madre dell’ucciso”, mentre di Satta e riportata la poesia “La Greggia”.
I quattro “illustri nuoresi” sono anche raffigurati in altrettanti ritratti. E mentre Satta, Ciusa e Ballero sono resi con attendibile somiglianza, Grazia Deledda appare alquanto “romanzata” in un ritratto dove l’autore, con il probabile intento di addolcirne i tratti, finisce per ritrarre una persona che solo vagamente assomiglia alla grande scrittrice.
L’articolo è corredato anche da alcune foto nuoresi e da una foto che ritrae un gruppo di oranesi in costume, definiti dalla didascalia come “testimoni di Orani davanti al palazzo dell’Assise”.
Un articolo che, nonostante l’eccesso di toni leziosi e idilliaci, risulta comunque interessante per la convinta esaltazione dei “fervidi ingegni” nuoresi che traspare dallo scritto di  Carta e per certe testimonianze e accenni alla vita da paesone che caratterizzavano la Nuoro di inizi ‘900.

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Francesco Ciusa e la Brigata Sassari

Francesco_ciusaNel 1919, cessata la Prima Guerra Mondiale, i cittadini veneti residenti in Sardegna promossero la realizzazione di una targa commemorativa dedicata alla Brigata Sassari che aveva contribuito in modo fondamentale alla liberazione delle terre venete.
La targa venne realizzata dallo scultore nuorese Francesco Ciusa e fu accompagnata da una lapide che riportava una frase di Antonio Fradelleto, Ministro per le terre liberate, dove si esaltavano le “eroiche virtù” dei sardi della Brigata Sassari.
La targa e la lapide, che erano state collocate sulla parete della scalinata del cortile d’onore del municipio di Cagliari, purtroppo, sono state distrutte dai bombardamenti americani del 1943 e se ne sono perse le tracce. Rimane solo il ricordo nelle cronache dell’epoca pubblicate sul Gazzettino e sull’Unione Sarda (si veda in proposito la ricerca condotta da Dario Dessì per Tottus in pari ).

medaglia ciusa 009Ma Ciusa si era già occupato della Brigata Sassari quando nel 1916 realizzò una medaglia commemorativa commissionata dai sardi residenti a Milano.
La medaglia, nel fronte, raffigura due plastici corpi speculari, col capo chino, che poggiano sugli scudi e su una spada centrale. Nello sfondo una figura di donna con una mano regge una lancia e con l’altra una figura alata che poggia il piede su un globo.
medaglia ciusa 010Le figure sono incorniciate dalla scritta “ A TE I TUOI FIGLI ITALIA CON FERMA FEDE PERCHE’ SORGA AL SOLE LA TUA FRONTE”.
La medaglia riporta la firma di Ciusa e dell’incisore Donzelli che la realizzò.
Nel retro, la cornice è costituita da un incrocio di falci e spighe, mentre una spada divide lo spazio in due parti che contengono il comunicato del Comando Supremo del 15/XI/1915 e la dedica “ALLA BRIGATA SASSARI SIMBOLO DELL’EROISMO DEL POPOLO DI SARDEGNA OMAGGIO DI AMMIRAZIONE E DI RICONOSCENZA DEI SARDI RESIDENTI IN MILANO – FEBBRAIO 1916”. Nella cornice esterna la scritta “MORTE GLORIA LIBERTA’”.

Ciusa nel realizzare la medaglia si rifà a motivi classicheggianti che già caratterizzavano la sua opera scultorea, con particolare attenzione alla “fisicità” dei corpi, resi plasticamente nella loro torsione muscolare. La presenza dei due scudi tondi richiama alcuni bronzetti nuragici, caratterizzati proprio da tale dettaglio, mentre la figura alata è una rappresentazione classica della dea Victoria che poggia i piedi sull’orbis terrarum, a simboleggiare il raggiunto dominio sul mondo.

canova napoleoneUna simbologia classica già utilizzata, ad esempio, da Antonio Canova nella statua di Napoleone, idealizzato come Marte vincitore, che tiene con la mano destra il globo dorato sul quale poggia una Vittoria alata.

ciusa illustrazioneIl motivo della medaglia è ripreso da Ciusa ancora nel 1917 quando l’artista dà il suo contributo alla celebrazione della “guerra dei sardi” con una serie di disegni che vanno ad arricchire la pubblicazione “I tuoi figli, Sardegna eroica!”, realizzata per raccogliere fondi a beneficio dei combattenti.
Una serie di raffigurazioni simboliche riprende i temi della medaglia con figure racchiuse entro tondi a simboleggiare la Morte, la Gloria e la Libertà. In un altro disegno la statua bronzea della Vittoria è sovrapposta al volto irrigidito dal dolore di una donna sarda. Sono evidenti le similitudini cartolina ciusa 2con l’immagine della medaglia e sono chiari i richiami alla Madre dell’ucciso, l’opera più importante di Ciusa che nel 1907 tanto successo aveva riscosso alla Biennale di Venezia.
Lo stesso motivo, evidentemente caro all’artista, fu utilizzato a colori anche per una cartolina commemorativa della Brigata Sassari dove, come scrive Giuliana AlteaCiusa riesce a trasformare l’enfasi retorica in concentrazione espressiva”, riuscendo a rappresentare in estrema sintesi la gloria riservata ai fanti, abbinata alla sacrale compostezza dimostrata dai sardi durante il conflitto mondiale.

Francesco Giuseppe Garibaldi Congiu Pes, “Conzu mandrone”

Francesco Congiu Pes  - Foto tratta dal volume di Elettrio Corda “Atene Sarda”, Rusconi 1992

Francesco Congiu Pes – Foto tratta dal volume di Elettrio Corda “Atene Sarda”, Rusconi 1992

Essere artisti a Nuoro, soprattutto negli anni tra le due guerre mondiali, non doveva essere molto semplice. Sicuramente i committenti costituivano una élite limitata a poche famiglie facoltose e, spesso, gli stessi artisti facevano parte di quelle famiglie.
Francesco Congiu Pes non aveva nobili natali, e l’unico elemento di “nobiltà” era quel “Garibaldi”, aggiunto da suo padre all’anagrafe, in onore dell’eroe dei due mondi.
Congiu Pes era nato a Nuoro nel 1887 e, da autodidatta, si dedicò sempre alla pittura, sino alla sua morte avvenuta nel 1961.
Visse sempre a Nuoro dove consumò la sua esistenza bohemien, quasi ignorato per la sua arte e inquadrato, dai suoi concittadini, come uno senza mestiere, uno che non lavorava, un “mandrone”, per dirla alla nuorese, tanto che l’appellativo diventò il suo secondo nome.
Congiu Pes era per i nuoresi “Conzu Mandrone”. E la convinzione che fosse un nulla facente era talmente radicata che Salvatore Satta, nel suo romanzo “Il giorno del giudizio”, non esita a qualificare il personaggio Cossu-Boi (identificabile con Congiu Pes) come “un mezzo pittore morto di fame”.

Francesco Congiu Pes - “Il porcetto in onore dell’ ospite”

Francesco Congiu Pes – “Il porcetto in onore dell’ ospite”

Congiu Pes coltivò per anni la sua passione artistica, un’arte semplice, caratterizzata da colori vivaci, basata su temi legati alla vita popolare, alla campagna, ai costumi tradizionali.
Michele Pintore, nel 2001, su La Nuova Sardegna, scriveva: “A morte avvenuta l’oblio non tardò a calare sull’artista. Qualche decina di anni fa ci fu un’operazione di recupero, con una mostra antologica del prima tanto disprezzato pittore; ma c’è da pensare che davanti a quella riabilitazione postuma, il nostro “Conzu mandrone” si sia rivoltato nella tomba, e fedele al suo carattere abbia voltato ancora una volta le spalle ai suoi ingrati concittadini”.
E di quella mostra antologica del 1995 rimane anche una serie di cartoline pubblicate dalla Poligrafica Solinas. Dodici cartoline di costumi sardi a testimonianza di un artista fortemente legato alla sua terra, che ha continuato imperterrito a coltivare la sua passione, incurante dei lazzi sulla sua persona e della scarsa considerazione che ha sempre accompagnato la sua esistenza.

CONGIU PES VECCHIO PASTORE DI NUORO  004CONGIU PES VECCHIO MANDRIANO DI ORGOSOLO 010CONGIU PES VECCHIO MANDRIANO DI DORGALI 006CONGIU PES SPOSA DI ORGOSOLO 009

CONGIU PES SPOSA DI OLIENA 011CONGIU PES RAGAZZA DI NUORO 002CONGIU PES PASTORE DI FONNI 008CONGIU PES NUORO COSTUME DA SPOSA 001CONGIU PES PAESAGGI E COSTUMI DI FONNI 012CONGIU PES ACQUAIOLA NUORESE 005CONGIU PES GAVOI VENDITORE DI BRIGLIE E SPERONI  003CONGIU PES DONNE DI DESULO 007