Il 7 maggio sono a Orani, al Museo Nivola, per presentare il libro “Il Nivola ritrovato. Un artista tra l’America e il Mugello” : vi aspetto e vi invito a diffondere. Grazie

C’è una piazza a Orani dedicata a Giuseppe Mazzini che, però, tutti in paese conoscono come Su Postu.
Su Postu è una piazza importante per Orani e, da sempre, accoglie la cerimonia religiosa de “S’Incontru”, quando due processioni , una con la Madonna e l’altra con il Cristo risorto, in un turbinio di fucilate a salve (?), si incontrano nel momento di massima celebrazione della Pasqua.
Ed è importante Su Postu perché proprio da lì, da un paio d’anni, è partito il progetto “Orani pergolato”, ideato dall’artista Costantino Nivola negli anni ’50.
Sulla piazza de Su Postu, poi, si affacciano le abitazioni di altolocate famiglie oranesi, da tempo residenti a Casteddu, e si affaccia la casa di Mario Delitala, artista di primo piano, che di Orani ha dipinto ogni angolo, compreso Su Postu che, comodamente, vedeva dalla sua finestra.
Bene ha fatto, dunque, Bastiana Madau a scegliere Su Postu per la splendida rassegna #QuFestival #QuandoTutteLeDonneDelMondo che ancora oggi (sabato 19 settembre) e domani (domenica 20 settembre) vedrà ospiti scrittrici e studiose che offriranno una visione al femminile di quanto la cultura sia in grado di proporre.
Se siete da quelle parti, dunque, oggi e domani alle 19.00 l’appuntamento è a Su Postu, per immergersi in diretta nell’agorà di quella piccola polis che si chiama #Orani
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Per San Daniele (13 Ottobre), a Orani si celebra la festa “grande” dedicata a San Daniele. Paese strano Orani: il patrono è Sant’Andrea, ma la festa vera, quella che dura tre giorni, si festeggia per San Daniele.
E San Daniele è sempre stata occasione di grandi iniziative con gare poetiche, canti a chitarra gruppi rock (che quando ero piccolo io erano gruppi “beat” che, però, si chiamavano, Barritas, Bertas o Mamuthones).
E per San Daniele non mancavano mai le giostre, le corse con cavalli e asinelli, gare podistiche e altri giochi di abilità: avete mai provato a percorrere duecento metri stringendo tra i denti un cucchiaio con un uovo sopra? Io a suo tempo ho provato a cimentarmi ma dopo sette metri circa l’uovo era già spiaccicato per terra!
Altra cosa che per San Daniele non mancava, erano i venditori di torrone di Tonara che allestivano le bancarelle in piazza e, soprattutto le donne, con una cassetta sul capo e la stadera in spalla, giravano per le case cercando di vendere il torrone. Per noi bambini era un’attesa che durava da un anno all’altro, anche perché i grandi, durante l’anno, sapevano creare l’aspettativa promettendoci in continuazione: “Si aches a bonu, a Santu Tanielle d’ammustro su tziu e su turrone (Se stai bravo, a San Daniele ti faccio vedere l’uomo del torrone)”
Per me “su tziu ‘e su turrone” era solo uno. Casa mia , in Via Roma, infatti, era tutti gli anni una tappa fissa di tziu Peppantoni Sau, un torronaio di Tonara che nel suo giro non mancava di fare sosta e scambiare due chiacchiere con babbo, accompagnate sempre da un buon bicchiere di vino.
Lo ricordo tziu Peppantoni, dietro la sua bancarella con il sue grembiule bianco, intento, con precisi colpi di mannaia, a sminuzzare i vari tipi di torrone che metteva in vendita.
Ma lo ricordo anche in occasione della Festa dell’Unità che allora ancora si festeggiava a Orani. Tziu Peppantoni, infatti, oltre a essere un ottimo produttore di torrone, era anche un apprezzato poeta estemporaneo. Succedeva, così, che tutti gli anni, in occasione del concorso di poesia de L’Unità, saliva sul palco e declamava i suoi componimenti.
Mi fa piacere, dunque, leggere che le poesie di Peppantoni Sau sono state raccolte in un volume e presentate al pubblico in una bella serata organizzata nei giorni scorsi a Tonara. Ricordo che i suoi componimenti erano belli come contenuto e impeccabili come metrica: ora che sono raccolti in un volume le poesie di Peppantoni Sau continueranno a viaggiare per feste e paesi, in quel vagare de “su tziu e su turrone” che, come i versi liberi, non conosce mai sosta.
Teliseri
Poesia di Peppantoni Sau dedicata al rione di Tonara dov’era nato e dove aveva vissuto
E tue Teliseri ite mi nasa,
ca ses poveru e tristu unu rione,
ma in sas concas de Pitzirimasa,
donzi notte ti cantat su mazzone.
Si est annada ona ‘e cariasa,
ti ballas e ti cantas che puzone,
ma si ti falat un’annada mala,
tue moris che puzone fertu a s’ala”
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1926: Babbo a due anni. Vestito da fraticello, con tanto di cordone alla cintola, per un voto a S.Francesco. Sta in piedi su una sedia e, da un esame ingrandito della foto, si notano gli scarponcini chiodati (cusinzeddos) di produzione artigianale. Si intuisce anche un fondale “rurale”, visto che in un angolo si intravvedono tre galline intente a becchettare.
1948: zia Elena ha tre anni. Vestita da suora, credo per voto a Santa Rita, sembra che tenga in mano un giocattolino. Calzettoni di lana grezza, probabilmente realizzati da nonna ai ferri, e anche in questo caso scarponcini sicuramente frutto del lavoro di qualche calzolaio di paese. Dall’ambiente “rurale” sono sparite le galline ma si intravvede una porta, con il vecchio sistema di chiusura a “cricchetta”, che per stare aperta necessita di un bel blocco di mattone (una cothza).
1950: zio Mario ha un anno. La sedia è più o meno la stessa e continua a svolgere la sua funzione di luogo prescelto per far vedere il mondo dall’alto ai bambini Mereu. I tempi cambiano e ai piedi compaiono un paio di sandaletti “con gli occhi”, acquistati nel negozio e non dovuti alla mano di qualche artigiano. Lo zio ha dismesso gli abiti religiosi e indossa un pagliaccetto con pettorina: forse nel 1950 iniziavano a usare i vaccini che, in quanto a preservare i bambini, si dimostravano più efficaci dei voti dedicati ai santi.
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I timbri per il pane, “pinta-panes” o “pinta-coccones”, hanno antichissime origini e sono riconducibili agli stampi o sigilli di pietra, di terracotta, di legno, di corno, con un disegno inciso o intagliato, che serviva per stamparlo ripetute volte sull’epidermide del corpo o per “marchiare” animali o oggetti.
Una funzione simile dovevano avere anche le “pintaderas” nuragiche, veri e propri tamponi in terracotta, utilizzati per motivi decorativi pratici o magico/religiosi.
Un uso molto simile era quello riservato ai “pinta-coccones”, sempre caratterizzati dal duplice scopo, decorativo e magico-religioso. Se da un lato, infatti, i timbri rivestivano un carattere puramente decorativo, dall’altro avevano spesso un uso legato a pratiche magico/religiose per preservare il pane dal malocchio.
Normalmente i “pinta-coccones” riprendevano motivi decorativi floreali o elementi geometrici tipici dell’artigianato simili a quelli utilizzati per le cassapanche, ma spesso i simboli erano legati all’occasione per cui i “pinta-coccones” erano stati realizzati. In occasione di fidanzamenti o matrimoni, ad esempio, abbondavano di cuori stilizzati in diverse fogge a sottolineare l’amore che permeava l’evento.
In alcune circostanze l’utilizzo dei timbri era di esclusivo uso religioso, come ad esempio quando si realizzava il pane da offrire ai pellegrini in occasione della festa a Gonare il 25 marzo.
In tale occasione una o più famiglie, per voto alla Madonna di Gonare, producevano innumerevoli forme di pane su cui era applicato il timbro con l’effige della Madonna. Il pane, “su coccone ‘e vintichimbe”, veniva offerto a tutti i pellegrini che si recavano al santuario.
Distribuzione de “Su coccone ‘e vintichimbe” a Gonare
Uguale funzione avevano i timbri che riportavano la figura di S.Antonio, utilizzati per marchiare “su pistiddu”, il tipico dolce a base di miele, semola e zafferano, che il giorno della festa del santo (16 gennaio) veniva portato in chiesa per la benedizione.
(Il brano e tratto dal mio libro “Mastros de linna. Falegnami e carpentieri a Orani“, pubblicato dall’editore Nardini di Firenze nel 2014.
I due timbri quadrati riprodotti in alto sono opera di Tziu Paulu Cosseddu. I timbri della Madonna di Gonare e di S.Antonio sono stati realizzati da Roberto Cosseddu)
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Marina è un’amica di Nuoro con la quale condivido passioni e interessi. Negli anni abbiamo imparato a non “pestarci i piedi” con le nostre ricerche, così se per esempio compare su eBay una cartolina che interessa a entrambi, evitiamo di farci concorrenza in modo da non alzare i prezzi dei prodotti in vendita.
Succede, anzi, che a volte ci si segnali a vicenda gli articoli di reciproco interesse.
Nei giorni scorsi Marina mi ha contattato per segnalarmi che aveva acquistato un lotto di vecchie foto di Nuoro e che, tra queste, ce n’era una riconducibile a Orani. Alla mail era allegata l’immagine qui riprodotta.
La foto, datata “Orani 21/4/1929”, raffigura un giovane adolescente con pantalone alla zuava, calzettone lungo, farfallino e cappello a visiera in testa. Il giovane è poggiato al basamento della colonna con la croce che una volta era collocata in Piazza Convento. Lo scorcio di piazza che si intravvede è caratterizzato dalla presenza degli alberi (eliminati definitivamente nei primi anni ’60) e, soprattutto, dallo splendido porticato in pietra che circondava la piazza, demolito durante il ventennio per far posto a quella che era la “casa del fascio”.
Una bella testimonianza visiva di un angolo di Orani che non esiste più … così come non esiste più la foto!.
E’ successo, infatti, che Marina mi abbia fatto omaggio della foto inviandomela tramite le poste italiane. Ebbene, la lettera con la foto non è mai arrivata e la foto si è persa in qualche meandro di smistamento. Per il momento ci accontentiamo della versione digitale e l’unica speranza è legata ai noti disservizi delle poste nostrane: non mi stupirei se, tra qualche anno, un postino, con nonchalance, suonasse alla mia porta per consegnarmi una lettera con foto miracolosamente riapparsa.
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Le due immagini del ballo in piazza sono del grande fotografo Franco Pinna (La Maddalena 1925 – Roma 1977). La foto a colori è tratta dal volume “Sardegna” della collana Tuttitalia, dedicata alle regioni italiane e pubblicata dall’Istituto Geografico De Agostini di Novara nel 1963, mentre la foto in bianco e nero è tratta dal volume “Sardegna una civiltà di pietra”, della collana Italia nostra, pubblicata dall’Automobile Club d’Italia nel 1961.
Pinna faceva parte dello staff che negli anni ’50 percorse il Meridione d’Italia e la Sardegna per documentare le tradizioni popolari delle genti del Sud. Quella ricerca, coordinata da Ernesto De Martino, permise di mettere insieme una sterminata documentazione fotografica e audio visiva sulle principali manifestazioni folcloriche, ancora vive alla fine degli anni ’50.
Le due foto riprodotte, scattate a Orani in Piazza S.Croce, come si può notare dagli impianti di registrazione approntati in piazza, vennero realizzate in occasione di una campagna documentaria sul Carnevale in Sardegna promossa dal Centro Nazionale Studi Musica Popolare di Roma in collaborazione con l’Accademia di S.Cecilia e con la RAI.
Nelle due foto il suonatore impegnato all’organetto è tziu Nino Masini che del ballo sardo era un vero e proprio virtuoso. Suonava l’organetto con grande maestria e con lui la piazza si animava per quel ballo trascinante e oltre modo coinvolgente. Il suo “dillu” prolungato era una vera e propria gara di resistenza che solo i ballerini più abili riuscivano a portare in fondo. La figlia di Ziu Nino, Paola, apprezzata per le sue composizioni poetiche, in un verso scrive: “…ricordo con amore il babbo quando / suonava l’organino in piazza santa Croce / sprigionando nell’aria, come d’incanto,/ note gioiose, allegri motivi…”
Nel 1961, a conclusione della campagna di raccolta di materiale folclorico, a tziu Nino venne rilasciato anche un attestato di riconoscimento per il contributo dato, soprattutto in occasione delle ricerche sul Carnevale in Sardegna.
Ed eccola la lettera, riprodotta integralmente, grazie a Gonario Noli, genero di tziu Nino, che l’ha messa gentilmente a disposizione.
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Oggi, 31 gennaio 2015, è il giorno di Sergio Mattarella, nuovo Presidente della Repubblica eletto con una larga maggioranza rispetto ai voti necessari, in una elezione che, tutto sommato, si è consumata in tempi brevi, visto che il responso positivo è giunto dopo la quarta votazione.
Ben altra cosa rispetto alle ventuno tornate elettorali che si resero necessarie per eleggere Giuseppe Saragat nel 1964.
La politica allora era caratterizzata da una fortissima DC frammentata in numerose correnti, e che rappresentava il centro-destra, dal PCI e dal PSI, gli storici partiti di sinistra, dal PRI, PSdI e PLI , partiti minori collocati al centro, e da MSI e Monarchici all’estrema destra.
L’elezione di Saragat giunse, appunto, alla ventunesima votazione quando vennero ritirate le candidature di Nenni(PSI) e Terracini (PCI) e i voti della sinistra si riversarono sul socialdemocratico Saragat che sul suo nome fece confluire anche i voti di parte della DC.
Credo che all’elezione di Saragat siano legati i miei primi contatti con la politica e con la familiarità di certi nomi. Risale sicuramente ad allora la mia scoperta di personaggi come Fanfani, Terracini, Nenni, Saragat e quel Bucciarelli Ducci di cui tutti ci chiedevamo quale fosse il nome ignorando che fosse un doppio cognome.
Nel 1964 avevo otto anni e da noi a Orani la televisione era ancora un lusso per pochi. Le notizie si ascoltavano alla radio, tutti zitti, quando c’era il “Gazzettino” che ci informava sull’andamento delle votazioni per il nuovo capo dello Stato. L’elezione del Presidente Saragat andò tanto per le lunghe che divenne un evento dove un po’ tutti, grandi e piccoli, erano coinvolti per le discussioni politiche che innescava. Ricordo le discussioni di mio padre, comunista convinto, che teneva testa a un vicino di casa, professore alle scuole medie, fervente democristiano. Discussioni che magari partivano da una quisquilia di paese e approdavano alla politica internazionale, con difese a spada tratta della Russia o dell’America a seconda di chi parlava. Erano comunque discussioni incentrate sul rispetto reciproco, che mai trascendevano e che, quasi sempre, terminavano davanti a un bicchiere di buon vino.
Con l’elezione di Saragat l’intimità della radio, ascoltata in religioso silenzio e in famiglia, venne seriamente messa in crisi da un evento che in “Sa Gruche”, il mio vicinato, era diventato la notizia del giorno: tziu Totoni Carrone aveva la televisione.
Tziu Totoni (il nonno materno dello scrittore Salvatore Niffoi) era un vicino di casa, minatore in pensione, con il pallino della tecnologia. Una passione che, già pensionato, lo portò a iscriversi alla Scuola Radio Elettra di Torino, una scuola che forniva nozioni di tecnica ed elettrotecnica per corrispondenza .
Ebbene, seguendo i corsi della Radio Elettra e acquistando i pezzi che man mano gli servivano, tziu Totoni era riuscito a costruire il televisore che, per l’appunto, iniziò a funzionare nei giorni dell’elezione di Saragat.
Fu così che tutto il vicinato venne invitato e si riunì a casa di tziu Totoni per assistere all’accensione “ufficiale”, una sorta di ricevimento con tzia Gonaria, la moglie, che offriva caffè alle signore, vino agli uomini e biscotti ai bambini.
E noi bambini tutti lì, seduti in terra in prima fila davanti al televisore in attesa dell’accensione. Prima dell’”apparecchio”, che non aveva ancora la forma finita (molti fili erano ancora all’aria e mancava la scatola esterna) venne acceso il trasformatore che aveva bisogno di un po’ di tempo per riscaldarsi. Fu poi la volta del televisore e sullo schermo si illuminò un piccolo puntino bianco. Per alcuni secondi ci fu un silenzio irreale e poi la TV iniziò a parlare: “Fanfani, Fanfani, Leone, Terracini”. Era la voce stentorea del presidente della Camera Bucciarelli Ducci che leggeva i nomi sulle schede.
Ci furono complimenti, strette di mano e auguri “a bos la godire chin salude”.
E mentre Bucciarelli Ducci continuava a leggere, l’immagine sullo schermo appariva disturbata da una serie di righe orizzontali che deformavano il tutto. Con perizia tecnica, tziu Totoni spiegò che il giorno dopo sarebbe andata meglio dato che avrebbe aggiustato l’orientamento dell’antenna verso il ripetitore di Vadde Urbara in modo da regolare meglio l’immagine.
Fu così che in quei giorni ho potuto assistere, in una sorta di rito di comunità, alle diverse votazioni che portarono all’elezione di Saragat, e fu così che imparai i nomi di quei politici che, nella mia memoria, mai riuscirò a separare dal ricordo di tziu Totoni e del suo “apparecchio”.
Grazie a una delle mie grandi passioni, la collezione di antiche cartoline della Sardegna, appena posso giro per mercatini alla ricerca di rarità per arricchire la mia raccolta. Un’appuntamento fisso, tutti i mesi, è il mercatino dell’antiquariato che si tiene a Firenze presso i giardini della Fortezza da Basso. Alcuni anni fa, mentre rovistavo in un banco particolarmente fornito di cartoline e vecchie foto, mi ritrovai per le mani una foto che ritraeva un giovane seduto, in posa, accanto a un vecchio apparecchio radiofonico. Non ebbi dubbi e lo riconobbi subito: era mio suocero, Giuseppe Campanini, nato nel 1906 e morto nel 1981, uno dei primi radiotecnici in Italia.
Feci presente la “scoperta” al titolare del banco che, incredulo, sfilò la foto dalla sua custodia: nel retro c’era la firma autografa e una dedica ad un amico farmacista di Sarzana che ne confermavano l’identità. La foto era datata 1927 e il commerciante la vendeva per 25 euro vista la rarità dell’apparecchio radiofonico ritratto accanto a mio suocero. Volevo pagare e acquistare la foto, sconosciuta a tutta la famiglia, per riportarla nell’alveo familiare, ma il commerciante rifiutò i quattrini dicendomi: “No. Te la regalo perchè non sei tu che hai trovato la foto, ma la foto che ha ritrovato te”. Quella foto, ora, fa bella mostra di sè, incorniciata, su un ripiano della mia libreria.
Oggi, 20 novembre 2014, dopo una decina d’anni, la storia si ripete. Con mia moglie Enrica capitiamo per caso al Mercatino delle Pulci di Firenze, in Piazza dei Ciompi. Mi metto a rovistare in un banco tra vecchie cartoline e vecchie foto e, all’improvviso sobbalzo: “questa è mia cugina!”. Giro la foto e nel retro ho la conferma: c’è l’invio con dedica di mia zia Mattiuccia e di mio zio Francesco che, nel 1964, da Lione in Francia inviavano la foto di mia cugina Marina a qualche loro conoscente non precisato nella dedica.
Confesso che sono rimasto sorpreso ed emozionato nel rivedere Marina da piccola con i suoi bei riccioli biondi e nel ritrovare un pezzo della mia famiglia su una bancarella. E, anche se mi rimarrà sempre la curiosità di scoprire come ha fatto questa foto a finire su un banco del Mercatino delle Pulci di Firenze, devo ammettere che per la seconda volta mi succede di essere ritrovato da una foto.
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