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Grazia e Bustianu

Dino Provenzal

Dino Provenzal

Dino Provenzal (1877-1972), che Giovanni Papini definì “Uomo colto, curioso, pronto, arguto, affettuoso ma corrosivo”, era nato a Livorno. Iniziò a scrivere giovanissimo, con uno stile versatile, tendente a un garbato umorismo che lo avvicinava più alla tradizione anglosassone che non a quella mediterranea. Svolse a lungo l’attività di insegnante in tantissime scuole, in lungo e in largo per la penisola, e si stabilì poi definitivamente a Voghera negli anni ’30.

Nel 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, a causa delle sue origini ebraiche, venne escluso dall’insegnamento e dovette nascondersi per sfuggire alla deportazione (il fratello Federico morì ad Auschwitz).
dizionario delle voci 206Provenzal, con l’editore Hoepli di Milano, pubblicò una serie di volumi, caratterizzati da un modo di scrivere gradevole e suggestivo, nei quali gli argomenti erano disposti in ordine alfabetico (Dizionario delle immagini, Dizionario umoristico, ecc.). Tra questi volumi rientra anche il “Dizionario delle voci”, edito nel 1956, una sorta di “catalogo” delle voci (537 pagine) nel quale, attingendo a testimonianze o a memorie scritte, Provenzal tratta di “come parlavano, voce, gesto, loquacità, taciturnità, eloquenza, […] centinaia di uomini e donne d’ogni tempo e d’ogni nazione”.
È un volume piacevole da leggere, ricco di aneddoti e curiosità e tra le centinaia di personaggi esaminati ci sono anche Grazia Deledda e Sebastiano Satta.

Grazia Deeledda e Sebastiano Satta ritratti nel 1910 (da Il Secolo XX n.6, 1910)

Grazia Deledda e Sebastiano Satta ritratti nel 1910 (da Il Secolo XX n.6, 1910)

La Deledda è così descritta da Provenzal: “scrittrice feconda e di alto valore, premio Nobel, fu invece parca nel discorrere e pareva trovar fatica ad esprimersi; ma seppe ascoltare e osservare; e la sua conversazione, pur così laconica, lasciava profonda impressione”.
A supporto di quanto affermato, Provenzal riporta le testimonianze degli scrittori Luigi Falchi e Luigi M.Personé, e della scrittrice e poetessa Mercede Mundula.
Falchi descrive “L’esil voce indistinta”(1) della scrittrice che, come conferma Personé, “parla piano, chiaro, con tono confidenziale, sforzandosi di trovare la parola e la frase che valgano a rendere integralmente il suo animo e il suo pensiero” (2). Mercede Mundula, in una testimonianza inedita raccolta da Provenzal, racconta di come una Deledda “Taciturna per indole e gusto, lo fu, col passar degli anni anche per abitudine … la voce bassa di tono, con la pronuncia stretta di alcune vocali aggiungeva al suo parlare qualcosa di grave e di chiuso”. Una grave solennità che, però, contrastava con la risata: “nulla era più limpido della sua risata né più schietto: un riso giovane e aperto, inatteso e sorprendente” che la Mundula definisce “una rosa nel granito”.
Ma se Grazia Deledda era di poche parole, ben diverso era il modo di presentarsi di Sebastiano Satta, “poeta, avvocato e oratore”. Provenzal raccoglie la testimonianza di Pietro Mastino (3) che così descrive il parlare del Satta: “la sua parola possente fluiva, non pareva più, la sua, la voce di un uomo: nell’aula, bello e terribile, solo egli dominava e fiammeggiava, col gesto ampio e solenne in accordi di voce maschia, piena e sonora”.
Lavorando di fantasia mi viene da immaginare “Bustianu”, in piedi, che parla con la voce impostata e roboante di chi è abituato a frequentare le aule di giustizia, accompagnando il parlare con ampi gesti delle braccia. Grazia, seduta composta davanti a lui, segue il suo parlare con le mani sulle ginocchia in una posa “atavica semplice e solenne” caratterizzata dal “contrasto della impenetrabilità del volto, vivo ed eloquente” con gli “scuri occhi dal volgere lento, attenti, e soprattutto scrutatori”. E ogni tanto anche Grazia parla, un “parlare disadorno, di un’estrema semplicità … e le frasi dense rompevano il silenzio con tonfo di pietre”.

1) – Parlando al telefono con Grazia Deledda, in Nuova Antologia, ottobre 1915
2) – Incontro con la Deledda, Il Resto del Carlino 5 gennaio 1943.
3) – Nel decimo anniversario della morte di Sebastiano Satta, Giornale d’Italia, 28 novembre 1924