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La tomba del gigante

“Il viaggio, circa due ore di salita per un sentiero appena tracciato fra i dirupi, gli avvallamenti, il bosco, fu attraversato a piedi dalle ragazze pazzamente felici ed ebbre di quella meravigliosa mattina di agosto, mentre un carro tirato da buoi e carico di masserizie e provviste, le seguiva traballando sui sassi e gli sterpi. La prima sosta, breve, fatta non per stanchezza ma per divertimento, fu al cominciare del bosco fitto, sotto una strana pietra poggiata su altre e detta la tomba del gigante. Sembrava una grande bara, di granito, coperta da un drappo di musco, solenne nella vasta solitudine del luogo. Un tempo, diceva la leggenda, i giganti abitavano la montagna, e uno di essi, a turno, vigilava l’ingresso della foresta: l’ultimo, si stese per morire sulla pietra di confine, che si richiuse su di lui e ancora custodisce il suo corpo.
Era davvero, quello, l’ingresso al mondo degli eroi, dei forti, di quelli che non possono concepire pensieri meschini; e Cosima toccò il masso, come in altri luoghi abbelliti di leggende sacre, si tocca la pietra dove si sia riposato qualche santo”.

Brano tratto da pagina 93 del libro “Cosima” di Grazia Deledda nella bella edizione Mondadori del 1947 con sopracoperta e illustrazioni di Aligi Sassu.

Brera e i ciclisti di Sassu

Finisce il Giro d’Italia che per un paio di settimane ha attraversato la penisola, regalando emozioni forti come solo il ciclismo sa regalare.
Io, amante delle due ruote (da spettatore e non da praticante), ancora mi emoziono per uno sprint o per l’impresa di uno scalatore che domina la montagna pigiando sui pedali, e ogni volta che alla televisione vedo le immagini, vado col pensiero a quando ho iniziato a divorare le cronache scritte da quel giornalista-scrittore che era Gianni Brera, capace di raccontare una corsa con l’enfasi di uno di quei romanzi d’appendice che, una volta iniziato, non riesci a mollare finché non l’hai finito.
Di Brera conservo un bellissimo libro (Gianni Brera, I ciclisti di Aligi Sassu – Disegni, Edizioni della Seggiola, 1980) dove il giornalista presenta una serie di disegni di Aligi Sassu dedicati al ciclismo, un tema che l’artista ha trattato per tutta la sua carriera.
Un amore quello di Sassu per il ciclismo che Brera riconduce all’infanzia di Aligi (milanese di nascita, di padre sardo e di madre emiliana) nella Milano degli anni 20. “Il giovanile abbandono”,  del futuro artista per la bicicletta, “il cavallo inventato dall’uomo”, con la quale percorre le strade di Lombardia, fu un vero e proprio amore, coltivato da Aligi Sassu a livelli quasi agonistici e, come scrive Brera, “lo stesso sport che l’ha tentato da giovane diviene pacato rifugio in Arcadia”.
Brera riconduce la passione ciclistica di Sassu al sangue sardo che scorre nelle vene dell’artista, quel sangue berbero che, in mancanza di un “cavallo assatanato” come quelli cantati da Sebastiano Satta, lo porta a montare il “cavallo inventato dai meccanici”.
Ma Brera si esalta al massimo (“mi commuovo” scrive), nel descrivere Fausto Coppi; non il Coppi reale, ma il Coppi disegnato da Sassu. “Fausto Coppi è un airone giovane e triste. Gli si legge negli occhi un drammatico destino. Aligi ne disegna lo sterno da uccello, le gambe spropositate (che poi asciugherà la fatica improba della strada), il lungo naso che spiove sulla bocca amara: la balenante immagine d’un pesce che inghiotta plancton in un fondale aspro e disagevole: Ahimè, quasi nulla può la fantasia, al cospetto d’un cavallo inventato dai meccanici. Coppi lo incanta per com’è brutto, all’apparenza, quando cammina con l’impaccio d’un papero fuori dall’acqua, e per come invece trascina quando l’agonismo lo accende. La simbiosi fra uomo e bicicletta permane un mistero che la matita, per quanto abile, non può svelare. Così, d’istinto, Aligi si astiene dal tragico in ciclismo. Ed io proprio di questo mi commuovo, perché ne conosco i giovanili abbandoni, l’estasi di auto glorificazione immobile (i sogni di gloria a tutti pedali!)”