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“Pietro Burlone e l’avaro” ovvero le storie di “Predu trampas”

C’era nel Campidano un usuraio, uno di quegli uomini cui piace sfruttare la gente. Sentiva parlare dagli operai dell’esistenza di un certo Pietro Burlone.
— Mah, — diceva — già vorrei incontrarlo questo Pietro Burlone! Dove sarà?
— Eh, vada e lo cerchi, abita in tale paese, vada e lo cerchi Un giorno ha inforcato un bel cavallo con una bella sella,
sproni, s’è vestito con una abito di panno rigato, una giacca alla cacciatora, un bel cappello ed è uscito.
Se n’è uscito quest’uomo e ad un certo punto ha trovato un ragazzino, mezzo stracciato e che gli ha domandato:
— Dove va lei?
Ha risposto:
— Sto andando in cerca di Pietro Burlone.
Ha detto;
— Pietro Burlone sono io!
— Accidenti! Proprio trovato! Proprio te stavo cercando, — ha detto — me la faresti una burla?
— Sì, potrei farla, — ha detto, — ma non ho gli attrezzi, non ho gli attrezzi per farle una burla.
— E come vorresti fare per…
— Eh, — ha detto, — basta che mi diate il cavallo e vado a casa a prendere gli attrezzi per farle lo scherzo.
— E prendi il cavallo!
Quello si è seduto sul cavallo, ma siccome pungeva con gli sproni e tirava con le briglie, il cavallo non camminava.
— Eh, — ha detto, — non cammina, bisogna che mi diate anche il vestito.
Quello si è spogliato di tutto il vestito l’altro è risalito a cavallo e ha rifatto lo stesso tranello: pungeva con gli sproni e tirava con le briglie.
— No, — ha detto, — bisogna che mi diate anche il cappello.
E gli ha dato il cappello e quello è partito.
È partito Pietro Burlone u un bel cavallo, ben vestito… A un certo punto, cammina cammina, ha visto una compagnia di cacciatori con tutti i cani.
Ha gridato:
— Oh, oh! Cacciatori!
— Che cosa vuole?
—Ho visto un coniglio, ma bello! — ha detto.
— E dove?
— In quel cespuglio di rovi.
Hanno aizzato i cani verso il cespuglio di rovi e c’era quell’uomo nudo. C’era quell’uomo, poveretto, in quel cespuglio di rovi. E i cani: — Bau, bau, bau!
— Eh, cosa fate, cosa fate, ci sono io!
— E com’è che siete rimasto così? — hanno chiesto i cacciatori.
— Eh, — ha detto, — ho dato il cavallo a Pietro Burlone per andare a prendere gli attrezzi per farmi una burla!
— Una burla più grande di questa non esiste! — hanno detto i cacciatori.
Questo e altri racconti popolari incentrati sulla figura di Pietro Burlone, “Predu trampas”, erano molto diffusi in Sardegna. Ricordo da bambino, le sere davanti al caminetto, in un epoca non ancora dominata dalla televisione, quando mio padre ci raccontava le storie di Predu trampas e le sue “trampajolas”, gli attrezzi per burlare: una sorta di storia infinita, ogni volta con una variante o un finale diverso.

Il racconto è tratto dal bel volume “Il bandito pentito e altri racconti popolari sardi”, a cura di Chiarella Addari Rapallo, edito dalla EDES di Cagliari nel 1977. I racconti sono frutto di ricerche “sul campo” effettuate in tutta la Sardegna negli anni 60 e 70 e sono stati trascritti rispettando fedelmente la traduzione letterale dal sardo all’italiano.
La bella illustrazione in copertina, e le illustrazioni interne del volume, sono dell’artista Primo Pantoli.

Orani: i timbri per il pane e “su coccone ‘e vintichimbe”

I timbri per il pane, “pinta-panes” o “pinta-coccones”, hanno antichissime origini e sono riconducibili agli stampi o sigilli di pietra, di terracotta, di legno, di corno, con un disegno inciso o intagliato, che serviva per stamparlo ripetute volte sull’epidermide del corpo o per “marchiare” animali o oggetti.

Una funzione simile dovevano avere anche le “pintaderas” nuragiche, veri e propri tamponi in terracotta, utilizzati per motivi decorativi pratici o magico/religiosi.

Un uso molto simile era quello riservato ai “pinta-coccones”, sempre caratterizzati dal duplice scopo, decorativo e magico-religioso. Se da un lato, infatti, i timbri rivestivano un carattere puramente decorativo, dall’altro avevano spesso un uso legato a pratiche magico/religiose per preservare il pane dal malocchio.

Normalmente i “pinta-coccones” riprendevano motivi decorativi floreali o elementi geometrici tipici dell’artigianato simili a quelli utilizzati per le cassapanche, ma spesso i simboli erano legati all’occasione per cui i “pinta-coccones” erano stati realizzati. In occasione di fidanzamenti o matrimoni, ad esempio, abbondavano di cuori stilizzati in diverse fogge a sottolineare l’amore che permeava l’evento.

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coccone 1In alcune circostanze l’utilizzo dei timbri era di esclusivo uso religioso, come ad esempio quando si realizzava il pane da offrire ai pellegrini in occasione della festa a Gonare il 25 marzo.

In tale occasione una o più famiglie, per voto alla Madonna di Gonare, producevano innumerevoli forme di pane su cui era applicato il timbro con l’effige della Madonna. Il pane, su coccone ‘e vintichimbe, veniva offerto a tutti i pellegrini che si recavano al santuario.

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Distribuzione de “Su coccone ‘e vintichimbe” a Gonare

138 cosseddu antonio e roberto (7) bisUguale funzione avevano i timbri che riportavano la figura di S.Antonio, utilizzati per marchiare “su pistiddu”, il tipico dolce a base di miele, semola e zafferano, che il giorno della festa del santo (16 gennaio) veniva portato in chiesa per la benedizione.

(Il brano e tratto dal mio libro “Mastros de linna. Falegnami e carpentieri a Orani“, pubblicato dall’editore Nardini di Firenze nel 2014.
I due timbri quadrati riprodotti in alto sono opera di Tziu Paulu Cosseddu. I timbri della Madonna di Gonare e di S.Antonio sono stati realizzati da Roberto Cosseddu)

S’Animedda e su mortu-mortu

Se si pensa alle festività dei santi e dei defunti, ormai, il pensiero corre immediato a Halloween, nata per soddisfare i gusti americani e diventata una ricorrenza internazionale.

s'animedda 1Il mio pensiero, invece, corre a quand’ero bambino: a quando ancora la mia generazione ignorava l’esistenza di Halloween.
La festa per noi bambini di Orani (ma di tutti i paesi della Sardegna) era caratterizzata da su mortu-mortu e da s’animedda.
Su mortu-mortu consisteva in una sorta di questua che vedeva gruppi di bambini andare di casa in casa, dotati di apposito sacchetto, a chiedere qualcosa per le “anime” (dolci, frutta secca, frutta di stagione, ecc.). Il contenuto del sacchetto, poi, veniva spartito tra tutti i bambini che avevano partecipato alla raccolta.
s'animedda 3S’animedda era il nome della zucca che, una volta svuotata, veniva incisa in modo da ottenere una faccia mostruosa che diventava ancora più mostruosa una volta inserita una candela accesa all’interno. Anche con s’animedda si girava per le case dove ai bambini venivano offerti dolci o frutta. Ricordo l’ultima volta che con gli amici si organizzò s’animedda: eravamo già vicini alla maggiore età… Si decise di iniziare il giro dalla casa di don Puddu, viceparroco originario di Oliena. Don Puddu ci fece accomodare e ci offrì da bere s'animedda 2un ottimo vino. In pratica il nostro giro finì lì in quanto passammo tutta la sera a bere in compagnia e a discutere con il prete di Fabrizio De Andrè e delle sue canzoni.
Quest’anno, però, visto che mi sono ritrovato una zucca per casa, ho deciso di rinnovare s’animedda che, anche se non andrò a bussare alle porte dei vicini, rimarrà accesa in casa per ricordare “sas animas” e per ricordare le spensierate “animedde” dell’infanzia.