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Il viaggio, Marisa e la vigna

Viaggiare, oggi, è molto semplice. Mezzi e trasporti sono in grado di condurci rapidamente nei luoghi più remoti e, se uno si accontenta del viaggio “virtuale”, oggi con telefonini, computer e tecnologie varie, è possibile spostarsi in un nanosecondo in qualsiasi punto del globo terracqueo.

Fino a qualche anno fa spostarsi era un po’ più complicato, e anche distanze che oggi sembrano risibili apparivano lontane e complicate da raggiungere.

Lo spostarsi dalla Sardegna verso il continente, ad esempio, dava l’impressione del “viaggio lungo” e richiedeva una preparazione, soprattutto “mentale”, per coordinare i tempi e le coincidenze dei mezzi di trasporto con i tempi e i ritmi delle persone destinate al “distacco”.

Si, proprio il “distacco”, perché questo voleva dire lasciare la Sardegna per altri lidi.

Io nel 1975 lasciai la Sardegna per andare a studiare a Firenze. Avevo 19 anni e, di fatto, se si esclude una gita scolastica, era la prima volta che lasciavo l’isola.

Ricordo un pomeriggio col magone a salutare amici e parenti, a “mi dispedire”, così come facevano normalmente quelli che, armati di valigia, emigravano in Germania o in Francia.

Il primo “distacco”, dunque, era quello dal paese e dagli affetti più cari.

La seconda tappa era l’approdo a Nuoro da dove, alle 20.00, partiva la “Freccia” dell’allora SATAS che collegava direttamente la città con il porto di Olbia. Si salutavano i parenti che ti avevano accompagnato sin lì e il pullman partiva. Ancora non esisteva la superstrada a quattro corsie e, così, dopo aver superato la chiesa della Solitudine, il mezzo affrontava il tortuoso discendere della strada di Marreri, ricavata sul dorso ondulato delle pendici del monte Orthobene.

In quei pochi chilometri di strada, prima ancora di arrivare a Olbia, prima ancora di salpare verso il mare aperto,  avveniva il vero “distacco”, iniziava quel viaggio “mentale” che ti portava a entrare in altre dimensioni non più sarde.

La prima volta che partii era una grigia serata di novembre; mentre il pullman scendeva lentamente da Marreri, ero assorto nei miei pensieri quando, dopo una curva a gomito, nel grigiore generale, nel bel mezzo di una vigna, i fari illuminarono una sagoma colorata.

Era una Marisa Sannia di cartone, a grandezza naturale, che pubblicizzava una nota marca di caramelle.

Una Sannia con un vestito coloratissimo (come d’altronde lo erano le caramelle pubblicizzate) che spiccava nel buio della sera, tra i monotoni colori dell’autunno. Una Sannia che, con il suo sorriso e la sua mano alzata, in mezzo a una vigna deserta mandava un saluto sereno ai viaggiatori che sapevano coglierlo.

Quell’immagine mi ha accompagnato per tanto tempo e ogni volta che ripassavo per la strada di Marreri andavo a cercare quella figura diventata in qualche modo un riferimento rassicurante, tanto che ancora oggi, quando mi capita di percorrere quella strada, lo sguardo corre a cercare Marisa tra le viti della vigna. E se anche la sagoma cartonata non c’è più, nel mio viaggio “mentale” quella Marisa Sannia rimarrà sempre lì, colorata e sorridente.

 

Il 15 ottobre Marisa Sannia sarà la protagonista dello spettacolo “Con passo leggero”, di e con Maria Grazia Campus e Gianna Deidda, che sarà rappresentato al Teatro della Compagnia di Firenze. Una serata eccezionale per ricordare una grande Artista, la sua musica, la sua poesia, le sue canzoni.

J.B.Barla: un viaggiatore in Sardegna 170 anni fa

Quando nel 1841 Jean Baptiste Barla (1817 – 1896) giunse in Sardegna, aveva 24 anni. Arrivò nell’isola invitato dalla sorella Luigia, moglie del capitano dei Granatieri di Piemonte Bruno Boglione, allora di stanza a Cagliari.
170 anni fa, dunque, un giovane nizzardo si aggirava per la Sardegna, armato di taccuini e pennelli, pronto a cogliere aspetti e dettagli della vita di tutti i giorni nell’isola, ma anche pronto a coltivare la sua passione per le scienze naturali e la botanica. Jean Baptiste Barla, infatti, passato alla storia come naturalista, botanico e soprattutto micologo, diede notevole impulso alle scienze botaniche e la sua opera fu fondamentale per l’istituzione del Museo di Scienze Naturali di Nizza, sua città natale.
Di lui rimangono tantissime osservazioni botaniche e numerose pubblicazioni, sempre corredate da splendide tavole a colori, il più delle volte realizzate da lui stesso. Come risulta dalle carte del Museo di Nizza, molte di queste annotazioni riguardano anche vegetali raccolti durante la sua escursione sarda.

Barla, in occasione del suo viaggio in Sardegna, tra l’altro, ebbe modo di mettere a frutto le sue notevoli capacità artistiche, e di quel soggiorno, infatti, rimangono alcuni album di disegni relativi a costumi e vedute dell’isola.
Due di questi album, di proprietà di un collezionista, per complessive 119 illustrazioni, sono stati esposti nell’aprile 2010 a Cagliari.
Un terzo album, di mia proprietà, contiene circa 80 tra acquerelli e disegni.

Si tratta in massima parte di costumi isolani, ma vi sono anche vedute di Cagliari, di Alghero, di Villanova Monteleone, di Thiesi, alcune scene di vita (caccia al cinghiale, veglia funebre, ecc.) e alcune tavole dedicate ai nuraghi, con descrizioni storiche e archeologiche.

Dai dipinti di Barla emerge una visione della Sardegna quasi da “reporter”, con una attenzione profonda all’abbigliamento, agli usi e ai costumi locali. Sono tavole sempre molto particolareggiate, tipiche di chi, abituato a descrivere i dettagli minimi delle piante e dei fiori, applica la stessa tecnicha alle figure di persone e ai paesaggi.

Una documentazione inedita e importante, che permette di dare corpo e immagini a tutta la letteratura di viaggio dell’800 in Sardegna, a partire dal Viaggio di AlbertoLa Marmora, splendido nelle descrizioni, ma del tutto carente per la parte iconografica.

La Sardegna di Nino Savarese

Nino Savarese, scrittore siciliano nato nel 1882 ad Enna, quando ancora la città si chiamava Castrogiovanni, e morto a Roma nel 1945, è una di quelle figure intellettuali che nel primo 900, e poi durante il fascismo, hanno rappresentato un modo diverso di far cultura, con una particolare attenzione ai movimenti d’avanguardia che puntavano a rinnovare la narrativa italiana, reagendo al positivismo in filosofia e al dannunzianesimo in letteratura.
Nel 1940 Savarese pubblicò “Cose d’Italia”, una raccolta di articoli e osservazioni di costume già apparsi sulla Gazzetta del Popolo dove un intero capitolo è dedicato alla Sardegna.
Il volume nella prima edizione fu pubblicato dall’editore Parenti di Firenze in sole 305 copie numerate, e riportava all’antiporta anche un ritratto di Savarese realizzato da Guttuso.
Nel 1943 il volume viene ristampato dall’editore Tumminelli e, con l’aggiunta di un nuovo capitolo, diventa “Cose d’Italia: con l’aggiunta di Alcune cose di Francia”.
Al 1991 risale l’ultima edizione di Sellerio, curata da Salvatore S. Nigro e con una nota di Enrico Falqui.

Il capitolo di “Cose d’Italia” dedicato alla Sardegna ci mostra un Savarese attento a raccontare aspetti segreti o poco noti della terra sarda, “..un lembo di terra ancora umido di una freschezza verginale”, resi in forma essenziale dal taglio giornalistico della narrazione.
In tale narrazione Savarese, che intuisce i cambiamenti che stanno per investire l’isola, evidenzia una forte preoccupazione che, riletta con il senno del poi, si rivela premonitrice di una situazione ancora oggi molto attuale:

“Il nostro illuso desiderio vorrebbe che su questa regione l’opera dell’uomo scendesse con un senso armonioso e discreto: che questa terra potesse illuminarsi della gentilezza del lavoro senza patirne gli eccessi; che gli uomini trionfassero della natura senza ucciderne la poesia.
Ma essi non saranno capaci di fermarsi in tempo. Gli ideali dei banditori del progresso non si fermano al risanamento delle paludi, alla viabilità ed al sapiente ed armonico sfruttamento della terra: non vogliono il benessere, hanno l’ingenuità di mirare alla felicità. Vogliono che anche la Sardegna diventi un paese insignificante.
Solo quando scomparirà questa umiliante pastorizia, e i Campidani saranno trasformati in serre ed aiuole per la coltivazione delle primizie e dei fiori artificialmente incrociati; quando tutti questi asinelli saranno rimpiazzati da altrettante macchinette da far rotolare per i sentieri e le scorciatoie di questi monti solitari; e i mille e mille nuraghi fumeranno nella fabbricazione degli oggetti più inutili; quando invece di fabbricar formaggi, e tessere tele di lino e panni di lana schietta, anche nella Gallura e nella Barbagia sorgeranno fabbriche di cotonine e di tele stampate; quando ai balconcini di Désulo o di Fonni le ringhierine di ginepro tornito saranno finalmente sostituite da due pilastrini di cemento armato; quando tutti questi vecchi patriarchi dalle barbe severe e i visi sereni saranno fatti sgombrare dalle piazzette, e rinchiusi in lunghe gabbie con un numero appeso al collo; quando sul colore dei costumi, così vari e lavorati, passerà il pennellone della tinta unita che ci farà riposare gli occhi; quando gli innumerevoli branchi dei mufloni, dei daini, dei cinghiali che popolano questi boschi, inseguiti da un esercito di macchine attraverso le quaranta miglia del Campidano, saranno buttati nel mare, verso il golfo di Lione; e gli inconvenienti del carattere di questi uomini scontrosi ed inflessibili, che hanno bisogno di schiettezza, di giustizia e di libertà, saranno curati con gli unguenti della dissimulazione e della perfida raffinatezza sociale, solo allora quei tali fautori del progresso dichiareranno risolti tutti i problemi della Sardegna!”

Una crociera in Sardegna

Nel 1932 la rivista L’Italia Letteraria organizzò una “crociera” che, per dieci giorni, visitò la Sardegna. Al viaggio era abbinato un concorso che prevedeva un premio per il miglior resoconto del viaggio stesso. Alla fine la giuria, di cui faceva parte anche Grazia Deledda, assegnò il primo premio a pari merito a Virgilio Lilli, allora venticinquenne, e a Elio Vittorini, di un anno più giovane.
Vittorini riprese e rimaneggiò il suo scritto facendolo diventare quello splendido libro, pubblicato nel 1936 dall’editore Parenti di Firenze come capitolo del volume Nei Morlacchi – viaggio in Sardegna, destinato a diventare Sardegna come un’infanzia (Mondadori, Milano, 1952.
Il lavoro di Vittorio Lilli, invece, fu pubblicato semplicemente in forma di articolo, su L’Italia Letteraria.
Per vedere la luce come libro, il diario di Lilli ha dovuto aspettare quasi settant’anni visto che è stato pubblicato solo nel 1999 dall’editore Carlo Delfino di Sassari che,“riscoprendo” questo inedito, ha contribuito ad aggiungere un ulteriore tassello a quella “scoperta della Sardegna” che dura ormai da due secoli e che non accenna a finire.
L’opera, con una presentazione di Gabriella Contini e uno scritto di Manlio Brigaglia che traccia la storia del concorso e del viaggio, è completata da uno scritto di Giuseppe Fiori che si sofferma sulla figura di Virgilio Lilli come giornalista e scrittore.
Il Viaggio in Sardegna, questo il titolo del libro di Lilli, non ha la pretesa dell’opera letteraria ma, piuttosto, si configura come una semplice descrizione di immagini e luoghi; veri e propri flash giornalistici che si soffermano sul particolare e, con aria volutamente svagata e distante, descrivono una Sardegna insolitamente diversa dagli stereotipi di Grazia Deledda o Sebastiano Satta.
Così, ad esempio, Lilli descrive Nuoro: “Nuoro è un paese a doppio fondo, ma vergine. La sua verginità è la sua elementarità. Quello che vi era di sardo puro è rimasto tal quale, col carattere originario; e questo è il primo fondo. Quello che vi è stato importato dal continente di civilizzato e di organizzato sta per conto suo come in una sovrapposizione: e questo è il secondo fondo.
E’ il paese di forma canonica che deve aver pensato il Signore: una lunga, grande strada simile ad una spina dorsale, e ai lati – come foglie su un ramo – viuzze e vicoli. Lo si potrebbe con un tantino di sforzo rassomigliare ad una spina di pesce o ad un fiume con i suoi affluenti di destra e di sinistra. Case di granito piccine, basse, robuste, e, in mezzo al granito, meravigliose fioriture d’orti e di rustici giardini inquadrate fra alte pareti di muriccioli. E’ un paese da patriarchi, burocratico, ma con il clima delle tribù”.
Una Nuoro,“Cuore di pietra della Sardegna”, ben lontana dalla città che oggi conosciamo.