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A proposito di scuola e Sardegna

Nel 1957 l’Editore Laterza di Bari pubblicò il volume “Diario di una maestrina” di Maria Giacobbe.
Il diario raccoglieva gli appunti dell’allora giovanissima scrittrice nuorese che raccontava la sua esperienza di maestra elementare nei paesi della Barbagia.
La giovane maestra racconta di come ha cercato costantemente di aiutare quella gente a risolvere i suoi problemi, operando attraverso la scuola e in condizioni quasi sempre disperate.
Una scuola disastrata che rifletteva lo stato delle famiglie, dei paesi e dell’isola intera.
Il libro ebbe grandissimo successo: vinse il “Premio Viareggio Opera prima” e fu tradotto in molte lingue.

Prima edizione di "Diario di una maestrina" con la sopracoperta illustrata da Mimmo Castellano

La prima edizione di “Diario di una maestrina” era arricchita dalla prefazione di Umberto Zanotti-Bianco, letterato, filantropo e archeologo (1889 – 1963), che si occupò in vario modo del Meridione d’Italia, promosse diverse iniziative attraverso la fondazione di pubblicazioni specializzate, fu presidente della Croce Rossa Italiana e, dal 1953, Senatore a vita.
Nella prefazione Zanotti-Bianco ricorda l’azione promossa con l’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia per fondare sviluppare asili, scuole, biblioteche, cooperative, ecc., negli angoli più remoti del Meridione e della Sardegna. Un’azione che portò alla fondazione di migliaia di scuole ma che determinò anche lo scioglimento dell’Associazione, nel 1928, in quanto invisa al regime fascista.

In questi giorni di attacco serrato alla scuola pubblica italiana, per due motivi mi piace riportare integralmente la prefazione di Zanotti-Bianco dove ricorda la sua esperienza in Sardegna. Prima di tutto per ricordare, allora come oggi, l’opera indefessa di migliai di insegnanti che quotidianamente svolgono un compito educativo, fondamentale per la crescita culturale e civile del Paese; in secondo luogo per ricordare (e per non dimenticare) che la scuola e l’insegnamento sono tra quelle attività che tutti i regimi, in ogni epoca e luogo, inseriscono tra le priorità da controllare, per intruppare e sottomettere i popoli.

Umberto Zanotti-Bianco impegnato in uno scavo archeologico

Prefazione a “Diario di una maestrina”
prima edizione, Bari, Laterza, 1957

Nell’autunno del 1926 avevo iniziato in Sardegna una vasta inchiesta sulle condizioni dell’ infanzia nell’isola, simile a quella da me promossa in Basilicata e apparsa nella primavera di quell’anno.

Le nostre scuole per la lotta contro l’analfabetismo erano in quell’anno in pieno progresso; ma già si accentuavano le pressioni delle autorità governative per imporci il licenziamento di quei maestri, spesso i più degni, che non avevano voluto iscriversi alle organizzazioni del partito dominante.
Poco prima di partire per il mio viaggio, in seno al Consiglio della nostra Associazione per gli Interessi del Mezzogiorno, avevo chiesto che di fronte a questi rinnovati soprusi politici, l’Associazione rinunciasse, per un dovere morale, al suo mandato, piuttosto che vedere sacrificati ingiustamente i suoi maestri. Non potevamo esaurirci in una sterile lotta contro prefetture e sindacati, occupati come eravamo a sorvegliare e migliorare le nostre scuole e i nostri maestri e tutte le nostre opere.
La decisione, sospesa per l’intervento di Giovanni Gentile che promise d’interessarsi personalmente del grave problema, venne posta in atto nel 1928: e fu la rinuncia a ben 8.262 scuole in Sardegna, Sicilia, Basilicata e Calabria.
Più volte traversando le lande arse, i boschi di sughero dai tronchi scuoiati della Barbagia, o avvicinandomi a quei solitari abitati che nel Sulcis sono nominati furiadroxius e dove in una misera scoletta una paziente maestrina era intenta ad aprire — come poeticamente si era espresso un vecchio pastore “s’anima lebia de sos nostros piseddos”, l’anima lieve dei nostri bimbi, io mi domandavo quale interesse potesse mai spingere la dittatura a stendere i suoi tentacoli fino a quei miseri aggregati umani fuori della politica, fuori quasi della stessa vita!
E quando per quelle solitudini, ove il silenzio non era interrotto se non da torme di pernici spaventate e da qualche cavaliere dal costume bianco rosso e nero, con la sua taciturna donna in groppa al cavallo, o a sera tardi – quando le selve di lentischi diventano nere e il loro aroma più amaro – dal trillo nostalgico di qualche grillo solitario, mi chiedevo: quale tra i nostri migliori maestri, o tra le nostre maestre più vicine all’anima dei bimbi, saprà mai scrivere la storia della sua dura vita, sì ricca di abnegazione e di stenti in questi ambienti chiusi, dal dialetto sì difficile e dove il suo sacrificio è per soprammercato amareggiato dalle imposizioni della dittatura?
Più volte mi ponevo questa domanda nei miei giri solitari che s’ iniziavano all’alba e finivano sotto le stelle.
Forse la maestra della piccola frazione di Strisaili che scriveva: “Ho fatto lezione tutti i giorni, non esclusi i festivi: non ho badato all’orario. Ho sofferto per il freddo, per la mancanza delle cose più necessarie alla vita, per la solitudine in cui mi sono trovata, non potendo corrispondere regolarmente con le persone più care perché nella frazione non c’ è servizio postale e le lettere si danno a lunghi intervalli, quando si ha occasione propizia di mandarla a ritirare a Villagrande”.
Ma essa era già stanca dopo il suo primo esperimento se concludeva così tristemente: “Dovrò tornare in questa desolata frazione? Vi ho troppo sofferto per tutto, specialmente per il pessimo alloggio… Per conto mio vi rinuncio definitivamente”.
Forse la maestrina della scoletta d’un colle della Gallura in vista del mare? Le sue parole estatiche sulla bellezza del panorama che le alleviava gli stenti della non facile vita mi avevano commosso: ma natura dolce, sognatrice, era troppo passiva innanzi agli ostacoli: non era fatta per affrontare le difficoltà, non per la lotta. “I miei alunni – mi scriveva – per quanto io faccia, non mi obbediscono: e spesso non scendono neppure dalle loro tanche per restare a sorvegliare e a mungere le pecore”.
Una sera che percorrevo le pendici del Gennargentti, un forte vento mi aveva carpito i miei pensieri, questo mio desiderio e penetrando con violenza nella Valle dell’Oliena li aveva recati, presso una culla, a Nuoro.
Parla, parla, il vento… –  dirà il vecchio di Orgosolo alla maestrina – e nessuno lo ascolta”.
Parlava, parlava, il vento, ma la bimba lo ascoltava attonita.
Passarono gli anni e quando, giovinetta, lasciò il liceo, quella voce tornò a parlare ed ella si fece maestra.
E dopo i primi esperimenti che l’avvicinarono alla vita e alle sofferenze della sua gente, e dopo tre anni di scuola ad Orgosolo, di nuovo quel vento le parlò al cuore ed ella si pose a scrivere la storia della sua viva e ricca giovinezza.
Or è una settimana questa maestrina – che aveva un giorno sentito parlare del viaggiatore che passava di paese in paese per una inchiesta troncata dalla dittatura — mi ha scritto chiedendomi una prefazione al suo Diario.
Esso non ne ha bisogno, tanto è ricco dì serietà, dì umanità e di poesia.
Dirò soltanto che queste sono le pagine che ho desiderato venissero scritte, quando scendevo dal Gennargentu.
La maestrina sarda insegnando ad Orgosolo ha imparato, giorno per giorno, e ha descritto con bella efficacia la miseria di quel paese, i suoi bambini denutriti, le sue donne dignitose, i suoi uomini perseguitati, il suo triste attaccamento a forme di vita superate, la sua sfiducia, non sempre immotivata, nella giustizia e nella legge .
Gli italiani leggano queste pagine: sentiranno quanta nuda indigenza, quanto dolore silenzioso, misto a ondate di poesia e di coraggio, si nascondono tuttora in quest’ isola sì ricca di fascino, che ha comune con il Mezzogiorno tante piaghe secolari e tante secolari speranze.

Roma, 18 aprile 1957
Umberto Zanotti-Bianco